Se ripercorriamo la Storia del porto
dai tempi delle prime paranze, cioè nella seconda metà dell’800, senza
inoltrarci nei secoli precedenti di cui abbiamo notizie scarsissime a riguardo,
dobbiamo notare che le prime reti a strascico dei nostri bisnonni venivano
trascinate da due paranze, o barchitti, o lancette.
Erano reti a strascico ma leggere
e per trainarle, eppure, c’era bisogno di due barche spinte dal vento.
Complessivamente, la forza del vento
e la rete a strascico leggera, avevano un impatto ambientale modesto e, o
perché si era solo all’inizio dello sfruttamento delle risorse marine o perché
le tecniche usate non erano invasive, le risorse ittiche si mantenevano
pressoché illimitate.
Si può affermare che in quel modo
l’ambiente rimaneva intatto. La forza propulsiva, il vento, costringeva i
pescatori ad usare reti adeguate ad esso. Quindi le reti a strascico si
potevano chiamare “leggere” rispetto a quelle odierne. E comunque ogni due
barche, una rete.
La situazione ha cominciato ad
evolvere ai primi decenni del ‘900, con l’ingresso sul mercato dei motori
marini. Ci ricordiamo dei motori degli anni ‘50/’60, Ansaldo soprattutto,
che, per dirla con una battuta, “facevano un giro al minuto”. Erano i primi
diesel marini, con un basso numero di giri.
Comunque da allora, cioè da quando
si incominciò ad installarli sui primi pescherecci, che poi erano in certi casi
le ultime paranze a vela trasformate, ogni barca trainava una sola rete a
strascico. Per aprire la bocca della rete si cominciarono ad utilizzare nuove
attrezzature fra le quali le più importanti furono " i divergenti",
che in dialetto venivano chiamate "porte", proprio per la loro forma,
come se fossero dei piccoli portoncini. I primi divergenti erano fatti di legno
e ferro e la loro finalità era quella, usate a coppia, di strusciare sul fondo
e allargare, mentre era in tiro, la bocca della rete. E da allora fu possibile
ad una sola barca trascinare una rete.
E quindi da allora lo sforzo
produttivo iniziò ad aumentare.
Per tutto il secolo, pur passando attraverso due
guerre mondiali, lo sviluppo dei motori da una parte e delle barche dall’altra
continuò incessantemente: motori sempre più potenti, con più cavalli, su barche
sempre più marine e attrezzate.
E se le paranze a vela trascinavano in due una sola rete leggera su un tratto di due miglia in un’ora, le barche a motore trascinavano una rete più pesante su un tratto di fondale di quattro miglia in un’ora.
Più i motori sono diventati potenti, più è aumentato il tratto di fondale su cui la rete strisciava. Non solo ma, durante il secolo, il numero delle barche è cresciuto notevolmente. E le reti si sono appesantite, anche se sono sostanzialmente rimaste uguali alle reti a strascico tradizionali.
E se le paranze a vela trascinavano in due una sola rete leggera su un tratto di due miglia in un’ora, le barche a motore trascinavano una rete più pesante su un tratto di fondale di quattro miglia in un’ora.
Più i motori sono diventati potenti, più è aumentato il tratto di fondale su cui la rete strisciava. Non solo ma, durante il secolo, il numero delle barche è cresciuto notevolmente. E le reti si sono appesantite, anche se sono sostanzialmente rimaste uguali alle reti a strascico tradizionali.
Anche le attrezzature venivano pian
piano cambiando: dai calamenti (le cime che trascinano la rete, fatte di
pezzi di diverso spessore) salpati a mano o con l’aiuto dei paranchi sulle
paranze, si è passati ai calamenti tirati su dai verricelli azionati dai
motori.
Inoltre dai calamenti di fune delle paranze si è passati ai cavi d’acciaio attuali.
Negli ultimi decenni del ‘900 c’è stato un adeguamento continuo sia delle reti sia delle attrezzature a bordo dei pescherecci.
Inoltre dai calamenti di fune delle paranze si è passati ai cavi d’acciaio attuali.
Negli ultimi decenni del ‘900 c’è stato un adeguamento continuo sia delle reti sia delle attrezzature a bordo dei pescherecci.
Ed è incominciato lo sfruttamento
intensivo delle risorse marine:
clicca nel link sottostante per il VIDEO:
Ma con l’avvento sul mercato delle reti “americane”, all’inizio del nuovo
secolo, l’aggressione all’ambiente si è notevolmente accentuato. La
caratteristica delle reti americane è principalmente quella di avere
sulla “bocca” delle pesantissime catene che “arano” letteralmente il
fondale pescando tutto quello che capita e distruggendo l’ambiente in
profondità.
La rete americana ha sui fondali, per usare una
similitudine, lo stesso effetto che avevano sul terreno i cavalli di Attila, il
famoso condottiero barbaro del tempo dei Romani, di cui si diceva che
dove passava lui non cresceva più erba, intendendo con questo che i suoi
numerosissimi cavalieri e i suoi cavalli erano così “invasivi” da
radere il suolo. Ecco, la rete americana fa lo stesso lavoro.
Oppure, in un certo senso, opera come se, per catturare gli animali che occupano una foresta, radessimo al suolo la foresta stessa.
Oppure, in un certo senso, opera come se, per catturare gli animali che occupano una foresta, radessimo al suolo la foresta stessa.
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rete a strascico americana
rete americana con catene
Le reti americane vengono anche
chiamate “gamberaie” perché vanno a prendere soprattutto i gamberi che
vivono nascosti nelle tane del fondo marino e che sono sempre più richiesti dal
mercato e dai consumatori.
In passato le catture di gamberi
rientravano in una certa normalità in quanto le tradizionali reti “tartane”
sfiorano soltantoil fondo marino.
Le reti “gamberaie” o americane,
invece, scavano il fondo marino per 30/50 cm e vanno a catturare molti più
gamberi di prima, perché vanno a stanarli anche in profondità.
Ma contemporaneamente rovinano il
fondo marino stesso.
Queste sono alcune delle specie catturate:
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Per
completezza di informazione, questi sono alcuni crostacei dell'Adriatico più
comunemente reperibili sui mercati locali:
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Alcuni pescatori, avveduti, sono
rimasti fedeli allo strascico tradizionale. Ma pur sempre troppo pochi rispetto
alla maggioranza, che invece ha rincorso lo sfruttamento ittico con le reti
americane.
Ma non solo. Con l’adeguamento delle
attrezzature a bordo, e quindi dei verricelli, e con l’aumento di potenza dei
motori, ogni barca è arrivata a trainare da sola fino a quattro reti americane.
Questo in Adriatico e nel Mediterraneo.
Abbiamo parlato nei giorni scorsi con un comandante di peschereccio da pesca atlantica che ci raccontava di aver trainato con la sua sola barca fino a otto reti americane, contemporaneamente.
Poi ha smesso perché anche in quelle zone il pesce si è rarefatto. (clicca qui)
Abbiamo parlato nei giorni scorsi con un comandante di peschereccio da pesca atlantica che ci raccontava di aver trainato con la sua sola barca fino a otto reti americane, contemporaneamente.
Poi ha smesso perché anche in quelle zone il pesce si è rarefatto. (clicca qui)
Allora ci torna in mente
quello che raccontava Giovanni Soldini, il famoso navigatore a vela in
solitario italiano: lo sfruttamento delle
risorse ittiche, sia a livello di mare Adriatico sia a livello mondiale, è
stato negli anni “di progresso civile” talmente esasperato da portare ad un
generale impoverimento della fauna ittica. Per fare un solo esempio, raccontava
in TV (Geo&Geo), che un suo amico pescatore messicano gli diceva che anni
fa con cento metri di reti campava la famiglia. Adesso con mille metri non ce
la fa.
E il problema dell’impoverimento della fauna riguarda tutti i mari ed
oceani, a causa dell’eccessivo sfruttamento degli stessi. Le notizie in
proposito sono giornaliere.
La rarefazione del pesce è dovuta allo sfruttamento esagerato delle risorse
marine e delle tecniche di pesca, oltre che all'inquinamento dei mari.
I pescatori devono convincersi che in fondo il mare, in un certo senso, è
loro e loro soprattutto devono preoccuparsi di salvaguardarlo, anche con una
accorta programmazione di lavoro e di invito al consumo di pesce (Clicca
qui).
Anche se del loro sforzo produttivo non ne hanno beneficiato soli. Ne ha beneficiato l'indotto e ne ha beneficiato tutta la società, se non altro come consumatrice finale di appetitosi piatti.
Anche se del loro sforzo produttivo non ne hanno beneficiato soli. Ne ha beneficiato l'indotto e ne ha beneficiato tutta la società, se non altro come consumatrice finale di appetitosi piatti.
Questo è il
quadro complessivo della pesca nel mondo e delle modificazioni avvenute (riprese da La
Stampa.it e Il Fatto Quotidiano):
Il fitoplancton è alla base della
catena alimentare marina (*da “Oceano” di Piero Angela e Lorenzo Pinna):
diatomee, dinoflagellati, copepode |
Da “Oceano” di P. Angela e L. Pinna
Da “Oceano” di P. Angela e L. Pinna
----------------------- Cronache dal mondo della pesca
-----------------------------
Dall’articolo di Paolo Valentino del 28 maggio sul Corriere della Sera,
abbiamo notizia della pubblicazione del nuovo libro di Mark Kurlansky, “World
without fish”, (Un mondo senza pesce), “che chiunque si occupi di problemi
ambientali dovrebbe leggere. Ogni suo capitolo si apre con una citazione di
Charles Darwin: anche se tutti lo conoscono per la teoria dell’evoluzione,«la sua lezione più importante è
quella che noi chiamiamo biodiversità: per avere un ecosistema in salute abbiamo
bisogno di un'ampia varietà di specie. Il punto è che abbiamo alterato il modo
di funzionare della natura. Non è possibile tornare indietro, ma occorre
ricostruire un ordine naturale in grado di funzionare e perpetuarsi...
E questo significherà anche cambiare il nostro stile di vita personale
e le nostre abitudini di Paesi abbienti. Dovremo essere più responsabili nella
scelta del pesce che compriamo.
E anche smettere di depredare le riserve marine al largo dell'Africa e del Sudamerica. Educare i pescatori alla sostenibilità, anche mettendo al bando le tecnologie più invasive come le reti a strascico, come già accade in alcune piccole aree in Europa e in America. Ridurre l'inquinamento dei mari...
Ma non è tanto e solo una questione di salvare gli oceani - spiega Kurlansky - quanto di salvare loro (i pesci, ndr) e il nostro rapporto con loro.
L'acquacoltura non è una soluzione: non solo è un disastro sul piano ambientale, ma non salvaguarda il rapporto col mare. La diversità sociale è altrettanto preziosa della biodiversità: occorrono molte culture perché una civiltà fiorisca e quella del mare è fondamentale».”
E anche smettere di depredare le riserve marine al largo dell'Africa e del Sudamerica. Educare i pescatori alla sostenibilità, anche mettendo al bando le tecnologie più invasive come le reti a strascico, come già accade in alcune piccole aree in Europa e in America. Ridurre l'inquinamento dei mari...
Ma non è tanto e solo una questione di salvare gli oceani - spiega Kurlansky - quanto di salvare loro (i pesci, ndr) e il nostro rapporto con loro.
L'acquacoltura non è una soluzione: non solo è un disastro sul piano ambientale, ma non salvaguarda il rapporto col mare. La diversità sociale è altrettanto preziosa della biodiversità: occorrono molte culture perché una civiltà fiorisca e quella del mare è fondamentale».”
Intanto da
questo articolo di Enrico Bellinelli del 4 maggio 2011, apparso sul Corriere
della Sera-Veneto, abbiamo letto:
"Che succede nell'alto Adriatico? Le vongole muoiono senza una plausibile spiegazione. I banchi di pesce si riducono. Bruxelles vieta di pescare sottocosta. Il risultato è che i pescatori sono alla fame, il pesce inizia a costare sempre di più, e all'ingrosso il pesce locale sta sparendo. «Il fatto è che in Adriatico il pesce non sa più dove scappare» dice Corrado Piccinetti, biologo che insegna all'Università di Bologna . Quando dice scappare, intende «dall'uomo», dai pescatori. Di quel che accade sotto la superficie del mare, noi ce ne accorgiamo al mercato: squilibri che iniziano a prendere la forma dell'impennata dei prezzi. Sino a metà aprile, al mercato all'ingrosso di Chioggia, il prezzo medio delle canoce, (cicale di mare), era di 11 euro al chilo, con picchi sopra i 13. Come gli scampi. I calamari hanno toccato picchi di 40 euro al chilo. A marzo, le anguèle (acquadelle) toccavano i 7 euro. I banchi delle pescherie venete iniziano a somigliare a fiere del lusso. I mali del mare, poi, affiorano in piena stagione turistica, con il ritardo nei ripascimenti dei litorali.
"Che succede nell'alto Adriatico? Le vongole muoiono senza una plausibile spiegazione. I banchi di pesce si riducono. Bruxelles vieta di pescare sottocosta. Il risultato è che i pescatori sono alla fame, il pesce inizia a costare sempre di più, e all'ingrosso il pesce locale sta sparendo. «Il fatto è che in Adriatico il pesce non sa più dove scappare» dice Corrado Piccinetti, biologo che insegna all'Università di Bologna . Quando dice scappare, intende «dall'uomo», dai pescatori. Di quel che accade sotto la superficie del mare, noi ce ne accorgiamo al mercato: squilibri che iniziano a prendere la forma dell'impennata dei prezzi. Sino a metà aprile, al mercato all'ingrosso di Chioggia, il prezzo medio delle canoce, (cicale di mare), era di 11 euro al chilo, con picchi sopra i 13. Come gli scampi. I calamari hanno toccato picchi di 40 euro al chilo. A marzo, le anguèle (acquadelle) toccavano i 7 euro. I banchi delle pescherie venete iniziano a somigliare a fiere del lusso. I mali del mare, poi, affiorano in piena stagione turistica, con il ritardo nei ripascimenti dei litorali.
Le cave di sabbia ospitano fragili
colonie di vongole. È una lotta contro il tempo: vanno prelevate prima di
aspirare la sabbia necessaria alle spiagge, e immerse in zone dove, da anni, si
verificano inspiegate morie che hanno messo in ginocchio i vongolari del
Veneziano. Piccinetti ha seguito un progetto della Regione per ripopolare le
aree sterili: «È un fenomeno che si verifica da vent'anni - spiega -, eppure le
morie recenti non paiono legate a una causa acuta come la carenza di ossigeno.
Soprattutto non muoiono tutte le specie che vivono in quelle aree». Sbalzi di
salinità, shock termici: nessuna causa basta da sola a spiegare questo
fenomeno, la sola cura è un piano di gestione che provveda ogni anno a
ripopolare i banchi di vongole. Eppure a soffrire di più, nell'ultimo anno,
sono i pescherecci con la «K», quelli della pesca sotto costa. Il famigerato
regolamento 1967/2006 dell'Unione Europea ha messo in ginocchio i pescatori che
da novembre a marzo pescano le acquadelle o da marzo a giugno le seppie e
canoce. Nascono e diventano adulte solo in questo lasso di tempo, ma la Ue ha
imposto reti a maglia larga che lasciano sfuggire queste piccole prelibatezze. A
denti stretti qualche dirigente delle associazioni di pesca ammette che si
sperava in una deroga della deroga. Che finisse all'italiana, insomma. Invece è
finita alla prussiana: è stato applicato. A Chioggia molti pescherecci non
escono più, oppure calano le reti vietate. La Guardia costiera stacca verbali
da 2 mila euro a chi torna a pescare dentro le 3 miglia. Ma non resta altro che
rischiare se si vuol portare qualcosa in banchina. «A fine marzo - racconta un
pescatore - siamo usciti in mare con la "sciabica", (una rete che si
usa in Liguria, ndr) per la pesca sperimentale delle acquadelle, siamo tornati
con una cassetta di moli che vale 30 euro. Tolti 20 euro di spese vive, cosa ci
resta? I signori di Bruxelles dovrebbero venire qui a Chioggia, salire a bordo
delle nostre barche e vedere che con la sciabica non prendiamo ni-en-te!
Vogliamo le deroghe come le hanno avute anche altre regioni». In banchina la
sensazione è che si sia fatto della piccola pesca un capro espiatorio. I banchi
di pesce sono decimati dalla pesca massiva che interrompe la catena alimentare,
col risultato che i predatori si spostano altrove per sopravvivere. «Sta
arrivando la nuvola nera», dice Maria Berica Rasotto, biologa dell'Università
di Padova che coordina il «Progetto Clodia». «Che cosa accade se si continua
con questo sforzo di pesca che porta sui mercati pesci cui non si dà la
possibilità di riprodursi? Noi proviamo a dare una risposta - spiega - Per
quattro anni sono state fatte ricerche su squali e razze. Se ne è estratto un
modello previsionale che va bene anche per altre specie. Nei nostri modelli,
dopo soli cinque anni di minor sforzo di pesca sulle specie più vulnerabili, la
curva della popolazione risale ». La ricerca indica alla politica come
raggiungere la sostenibilità ambientale. «Ma è necessario sostenere
economicamente i pescatori in questa fase di transizione. E non solo una
marineria, quella di Chioggia, perché altrimenti altri mercati ti sopravanzano
».
Il ns. commento a questo articolo, sullo
stesso giornale, date le premesse iniziali, non poteva essere che questo:
"L’articolo di oggi mette in rilievo i problemi della pesca che lamentano anche i pescatori pescaresi. Qui in banchina si discute del fatto che il pesce si è fatto ulteriormente più scarso a causa dell’uso SMODATO delle reti “americane”, che vanno tolte perché rovinano troppo i fondali. La scarsità del pescato è oramai sotto gli occhi e le tasche di tutti i pescatori: qualche rimedio bisogna trovarlo. Perché gli incassi non coprono più nemmeno i costi del carburante. E secondo le voci più sincere ed esperte i rimedi sono questi:
"L’articolo di oggi mette in rilievo i problemi della pesca che lamentano anche i pescatori pescaresi. Qui in banchina si discute del fatto che il pesce si è fatto ulteriormente più scarso a causa dell’uso SMODATO delle reti “americane”, che vanno tolte perché rovinano troppo i fondali. La scarsità del pescato è oramai sotto gli occhi e le tasche di tutti i pescatori: qualche rimedio bisogna trovarlo. Perché gli incassi non coprono più nemmeno i costi del carburante. E secondo le voci più sincere ed esperte i rimedi sono questi:
- Bruxelles
ha ragione a vietare la pesca sottocosta. Nelle zone dentro le tradizionali 3
miglia va vietata ASSOLUTAMENTE, perché è in questo tratto di mare che le
specie si riproducono. Ma il divieto va mantenuto per tutto l’anno e anzi va
ostacolato con la posa in mare di barriere artificiali, che diventerebbero tane
di ripopolamento
- Le reti
a maglia larga imposte dalla UE non risolvono il problema, perché quando le
reti sono in tiro, le maglie, anche se più larghe, si stringono e comunque non
lasciano passare vivi i pesci, nemmeno quelli piccoli -Il prof.
Piccinetti (che però, secondo i nostri, diede a suo tempo parere
favorevole alle reti americane) e la biologa dott. Rasotto hanno ragione:
i nostri dicono che bisognerebbe attuare un fermo pesca per tutto l’Adriatico,
di 4/5 mesi, nel periodo primaverile, perchè allora il pesce si
riproduce; ma in tutto l’Adriatico, perché altrimenti una zona invaderebbe
l’altra; e probabilmente ripeterlo ogni anno.
- Ma la
pesca in acque internazionali, oltre le 12 miglia dalla costa, come può essere
regolamentata ?
- I
pescatori vanno aiutati in questo periodo di transizione con una forma di
cassa integrazione, come per altre categorie. Sappiamo che questi sono accordi
difficili e da fare anche con l'Unione Europea (che ha fondi disponibili) e
con la FAO, quindi un po’ più complicati."
Si può dire
che in Adriatico settentrionale i problemi sono più accentuati che
nell’Adriatico centrale e a sua volta nell’Adriatico centrale sono più
accentuati che nella parte meridionale. Certamente ha influito l’effetto
antropico (attività umane), progressivamente diverso da Venezia a Otranto,
oltre che la biodiversità del mare.
Ma qui vogliamo portare ad esempio, tanto per dimostrare che non siamo
secondi a nessuno, la pesca delle vongole effettuata nei 60 km del tratto nord
della costa abruzzese dal CO.GE.VO. del presidente Walter Squeo di Giulianova,
sotto la guida esperta della biologa marina Carla Giansante (Istituto
Zooprofilattico Sperimentale di Teramo), che dà ad essi le indicazioni migliori
per alternare le zone e i periodi di pesca, in base non solo all’esperienza dei
pescatori stessi ma anche al continuo controllo della ricerca scientifica.
Quel tratto di mare a nord, pur essendo più abitato dalle vongolare della
Regione rispetto all’altro tratto di circa 60 km a sud (80 vongolare a nord, 20
circa a sud) non soffre dei problemi riscontrati a sud (morie lamentate
ma non provate scientificamente, scarsità di pescato) perché il metodo di pesca
del CO.GE.VO. è supportato dalla ricerca scientifica.
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Nell’editoriale
successivo al nostro intervento, Fausto Pezzato, sempre sul
Corsera-Veneto, ha scritto, il 5 maggio 2011:
" ... Sotto le apparenze ci sono realtà così sconvolgenti che la mente collettiva non può sopportarle senza esplodere. Ma vi sono momenti in cui il disastro che abbiamo combinato appare comunque ai nostri occhi ed emerge dalle nostre coscienze per una sorta di resa dei conti. E in una di queste visioni constatiamo al di là di ogni dubbio che il nostro Adriatico è un letamaio: il pesce che non muore nella cloaca fugge lontano, spinto dall'istinto di sopravvivenza.
" ... Sotto le apparenze ci sono realtà così sconvolgenti che la mente collettiva non può sopportarle senza esplodere. Ma vi sono momenti in cui il disastro che abbiamo combinato appare comunque ai nostri occhi ed emerge dalle nostre coscienze per una sorta di resa dei conti. E in una di queste visioni constatiamo al di là di ogni dubbio che il nostro Adriatico è un letamaio: il pesce che non muore nella cloaca fugge lontano, spinto dall'istinto di sopravvivenza.
Qualcuno lo sapeva, altri lo immaginavano, la maggioranza non se ne dava
pensiero come siamo abituati a fare quando i problemi superano la capacità di
affrontarli.
Gli ammonimenti non sono serviti, le prediche sulla scena del crimine
sarebbero una atroce ipocrisia. Allora è (o ci illudiamo che sia) più
conveniente chiamare in causa la politica regionale, convocarla senza
distinzioni di partito, anzi obbligarla a disfarsi di sigle, insegne e
distintivi e allinearla lungo le nostre coste dove si sta estinguendo ogni
forma di vita.
Invitare deputati, senatori e portaborse, sindaci , assessori e consiglieri
ad ammirare il risultato della nostra incoscienza e della loro vanità.
Non per scaricare su qualche centinaio di persone responsabilità che in
diversa misura sono di tutti, ma per invitarle a unire intelligenze ed energie
nell'unica missione che il presente esige per traghettarci nel futuro.
Detto con un filo di volgarità e una chiarezza universale: «salvarci le
chiappe».
Se in precedenza la cupola del tempio risuonava di voci contrapposte, vera
e propria colonna sonora del caos, adesso dobbiamo restituire alle parole il
loro senso e convogliarle verso il solo traguardo rimastoci. Mentre le signore
affilano le armi della seduzione nella competizione estiva tra Chioggia e
Trieste, e l'industria del turismo balneare sforna gli spot pubblicitari del
paradiso di sabbia che sta per accogliere i suoi fedeli, i pubblici
amministratori di ogni ordine e grado e le nostre pattuglie di parlamentari,
nonchè i dirigenti delle categorie imprenditoriali, faranno bene a convincersi
che, senza interventi immediati e radicali che chiamano in causa un intero
sistema economico con i suoi effetti collaterali, quello che ci ostineremo a
definire «fenomeno inspiegabile» potrebbe svilupparsi in un degrado senza
ritorno.
I pesci non hanno l'abitudine di celebrare suicidi di massa per misteriosi
e indecifrabili «errori» ignoti alla nostra cultura, semplicemente soccombono
quando li priviamo delle caratteristiche vitali del loro ambiente.
Non dovendo portare il fardello dell'intelligenza, è probabile che siano
esentati dall'obbligo della stupidità.
Come quasi tutti gli animali
«domestici», vale a dire commestibili, sono condannati a tirare avanti in un
mondo sofisticato che li intossica prima di mangiarli. Così essi possono
trasferire sulle nostre tavole, assieme ai piaceri della gola, i brividi del
crimine di cui siamo gli unici autori.
Adesso il mare muore. La politica è
viva ?"
Da La Stampa del 27/9/2011:
Greenpeace lancia un allarme per il Mediterraneo
EVIAN
Paul Watson, co-fondatore di
Greenpeace e leader di Sea Shepard ha lanciato un s.o.s per il Mediterraneo
durante la Global conference di Evian, dedicata a sviluppo sostenibile e tutela
dell’ambiente. «Per salvare il Mediterraneo bisognerebbe bloccare la pesca per
20 anni. Nessuno dovrebbe pescare niente. Così lo stanno distruggendo».
«Ci sono 23 Paesi che hanno le loro sponde sul Mediterraneo, quindi è un puzzle molto intricato - spiega - perché nessuno è pronto ad assumersi i propri impegni sulla tutela dell’ecosistema e delle specie. Ma il mare sta morendo. Bisognerebbe creare un’area tabù, come fanno i popoli indigeni di Tahiti. Lì tutti la rispettano, perché c’è l’autorità degli sciamani a vigilare».
Situazione ben diversa da quella del mare Nostrum dove, denuncia Watson, tutti sembrano girarsi dall’altra parte. Come per esempio nel caso del tonno rosso: «I Paesi del nord Mediterraneo lo pescano dicendo “se non lo facciamo noi lo faranno i tunisini”. I tunisini lo pescano dicendo, “se non lo facciamo noi lo faranno i libici”ì. E così via. Ma la verità è che c’è un interesse a far ridurre la specie a portarla vicino all’estinzione, per denaro».
È il meccanismo di domanda e offerta, spiega: «Oggi un pesce si vende minimo a 70 mila dollari, alcuni toccano anche i 300 mila. Meno pesci ci sono, più il prezzo sale, quindi se la popolazione è ridotta al minimo chi vende i tonni è seduto su una miniera d’oro. È quella che si chiama ’economia dell’estinzione».
Un problema che, secondo i “pirati” di Sea Shepard, i governi sono incapaci di risolvere da soli, per mancanza di vera volontà politica. «Come per gli oceani, dove abbiamo tutte le convenzioni necessarie alla tutela, ma nessun incentivo ad applicarle. L’unica soluzione è che le persone si diano da fare, e agiscano in prima persona per tutelare il mare. Alcuni li chiameranno pirati, ma non devono preoccuparsene, perché è l’unica strada per il cambiamento».
«Ci sono 23 Paesi che hanno le loro sponde sul Mediterraneo, quindi è un puzzle molto intricato - spiega - perché nessuno è pronto ad assumersi i propri impegni sulla tutela dell’ecosistema e delle specie. Ma il mare sta morendo. Bisognerebbe creare un’area tabù, come fanno i popoli indigeni di Tahiti. Lì tutti la rispettano, perché c’è l’autorità degli sciamani a vigilare».
Situazione ben diversa da quella del mare Nostrum dove, denuncia Watson, tutti sembrano girarsi dall’altra parte. Come per esempio nel caso del tonno rosso: «I Paesi del nord Mediterraneo lo pescano dicendo “se non lo facciamo noi lo faranno i tunisini”. I tunisini lo pescano dicendo, “se non lo facciamo noi lo faranno i libici”ì. E così via. Ma la verità è che c’è un interesse a far ridurre la specie a portarla vicino all’estinzione, per denaro».
È il meccanismo di domanda e offerta, spiega: «Oggi un pesce si vende minimo a 70 mila dollari, alcuni toccano anche i 300 mila. Meno pesci ci sono, più il prezzo sale, quindi se la popolazione è ridotta al minimo chi vende i tonni è seduto su una miniera d’oro. È quella che si chiama ’economia dell’estinzione».
Un problema che, secondo i “pirati” di Sea Shepard, i governi sono incapaci di risolvere da soli, per mancanza di vera volontà politica. «Come per gli oceani, dove abbiamo tutte le convenzioni necessarie alla tutela, ma nessun incentivo ad applicarle. L’unica soluzione è che le persone si diano da fare, e agiscano in prima persona per tutelare il mare. Alcuni li chiameranno pirati, ma non devono preoccuparsene, perché è l’unica strada per il cambiamento».
Il ns. commento: "indubbiamente l'articolo di cui sopra è in
linea con quanto da noi scritto prima, ma pensiamo che la soluzione prospettata
da Paul Watson sia eccessiva.
Noi
pensiamo che una regolamentazione severa delle dinamiche della pesca che parta
dalla salvaguardia della fauna ittica sia più adatta alla stessa ed anche al
lavoro e all'economia che gli gira intorno. Un esempio: già 25 anni fa la pesca
del salmone in Norvegia era contingentata. E ci sembra che tale sia rimasta
negli anni salvaguardando la specie ma anche il lavoro che deriva dalla sua
cattura.
Noi
pensiamo che nel Mediterraneo e soprattutto nell'Adriatico ci sia bisogno
di regole ferree per la pesca, senza finire nell'eccesso di Paul Watson
di Greenpeace".
Da Il Fatto Quotidiano del 18 maggio 2017:
------------------------------------------------------------Fine cronache dal mondo della pesca---------------------------------------------------------------
Febbraio 2012
PROPOSTE PER LA RAZIONALIZZAZIONE
DELLA PESCA
in Adriatico (ma non solo )
Una collaborazione tra la biologa
marina
Carla Giansante
dell'Istituto G. Caporale di Teramo (IZSA&M)
e la marineria pescarese
La base del
ragionamento è rappresentata dalle conoscenze scientifiche utili
alla salvaguardia delle risorse ittiche:
per la salvaguardia della fauna
ittica il metodo da seguire non è quello dei fermo-pesca a pioggia durante
l’arco dell’anno ma un metodo che per principio corrisponda al
periodo di riproduzione delle singole specie di pesce.
Il fine deve essere quello di
permettere la salvaguardia della fauna ittica e contemporaneamente la
prosecuzione delle attività marinare, attività che costituiscono da secoli la
risorsa di intere generazioni di addetti ai lavori e di cittadini fruitori del
prodotto pescato.
E’ un po’ come quello che avviene
per la pesca delle nostrane vongole, chiamate nel dialetto locale
“paparazze”, autoregolamentata dai pescatori stessi che evitano di
pescare durante il periodo di riproduzione e che alternano le zone di pesca,
con l’aiuto di un Ente scientifico (Istituto Zooprofilattico Sperimentale
"G. Caporale" di Teramo - IZSA&M), strategia dimostratasi
efficace nel tempo.
L’IZSA&M si è interessato in
diverse occasioni dell’argomento, elaborando proposte tecniche fatte proprie
dal Comune di Pescara e accolte dal Ministero delle Politiche Agricole,
Alimentari e Forestali per la definizione dei periodi del cosiddetto
“fermo-pesca
biologico”.
I
risultati dello studio sono stati pubblicati nei seguenti
lavori scientifici:
- Giansante,
C., Vallerani, M., Angelini, S. Periodi riproduttivi delle specie ittiche dei
mari italiani, 5° Convegno Nazionale per le Scienze del Mare,
Viareggio 14-18 novembre 2006.
.-
Giansante, C., Vallerani, M., Angelini, S. Spawning periods
calendar of commercial fish in the Adriatic Sea: a preliminary study, Chemistry
and Ecology, 24(S1), 1–10, 2008.
Come indicano i dati del poster, è
nei mesi primaverili (marzo, aprile, maggio, soprattutto), specificati
nel testo, che deve intervenire il fermo biologico con il totale coinvolgimento
di tutte le categorie di pescatori.
Comunque sarebbe importante
approfondire e capire se si vuole fare un discorso generale sulla
biodiversità o se si vuole proteggere in modo particolare qualche specie
di maggiore interesse, se si vuole agire sugli adulti o sul novellame.
ll “calendario ittico” redatto dall’ IZSA&M, nel
quale sono riportati i periodi riproduttivi di tutte le specie del
Mediterraneo, è la base scientifica sulla quale ragionare.
Da esso si evince che, come
confermano le esperienze storiche e le considerazioni empiriche della nostra
marineria, i pesci si riproducono specialmente a primavera e soprattutto
sotto-costa, dal mese di marzo in poi, non appena la temperatura dell’acqua
sale. Diverse specie di essi si avvicinano alle acque più calde della costa e
vi depongono le uova, per poi allontanarsi di nuovo insieme al novellame.
Quindi sarebbe meglio seguire una
regola generale di semplice applicazione: il fermo biologico nel periodo
primaverile della riproduzione IN TUTTI I MARI E PER TUTTI I TIPI DI
PESCA.
(Questo non significa che poi non
debba essere posta in essere una salvaguardia del novellame. Questo però è
più difficile, a meno che non si allunghi il fermo di altri 3 mesi o non si
effettui un vero ed effettivo controllo di pesca su di esso, che, come abbiamo
detto, dalla zona di mare entro le classiche 3 miglia o dalle Zone di Tutela
Biologica individuate, si allarga poi nelle altre zone. Per la
protezione del novellame attualmente non ci sono altre proposte fattibili oltre
il prolungamento del fermo-biologico o l’alternanza del divieto di pesca).
Si è visto che i sistemi individuati
in passato, alternando il fermo-pesca nei vari mari e in periodi sbagliati,
senza seguire il principio della riproduzione, non sono serviti a proteggere le
varie specie, non hanno funzionato, vanificando il tentativo di accrescere le
risorse alieutiche e creando scompensi nel funzionamento dei mercati.
L’allargamento delle maglie delle reti (40 mm.) già imposto dalla UE purtroppo non ha risolto il problema. Perché quando le reti sono in tiro le maglie, anche se più larghe si stringono lo stesso e buona parte dei pesci ne fuoriescono morti. Il pescato è comunque inferiore, ma non è migliore la salvaguardia delle risorse ittiche.
Disporre le maglie della rete del
sacco di traverso rispetto alla posizione della rete potrebbe essere una
soluzione. Ma non è nemmeno essa suffragata dalla verifica che i pesci
più piccoli, che ne fuoriescono, ne escono vivi.
Sotto questo aspetto l’IZSA&M è
disponibile e preparato a portare avanti una sperimentazione di fronte
all’adozione sia del fermo-pesca sotto costa sia dell’alternanza di fermo nelle
varie zone di pesca prestabilite.
Comunque, dal poster
dell’IZSA&M e dal suo calendario è evidente che la maggior parte delle
specie ittiche si riproduce a PRIMAVERA, con un picco nel mese di Maggio e
decrescente nei mesi successivi, e quindi ogni sforzo per salvaguardarle
va fatto in tale periodo: sarebbe questo il vero FERMOPESCA-BIOLOGICO.
Il fermo
naturalmente deve riguardare contemporaneamente tutti i tipi di pesca, perché
altrimenti ne sarebbe vanificato l’intento:
Pesca a strascico con la tradizionale
“tartana”
Pesca a strascico con la nuova rete
“americana”
Pesca con la lampara, pesce azzurro: da approfondire con gli stessi operatori e con l'IZSA&MT.
Pesca al tonno: idem come sopra per il pesce azzurro
Pesca con il palangaro (con gli ami)
Pesca con la lampara, pesce azzurro: da approfondire con gli stessi operatori e con l'IZSA&MT.
Pesca al tonno: idem come sopra per il pesce azzurro
Pesca con il palangaro (con gli ami)
Pesca con le reti da posta
(tramaglio, liscia,…)
Pesca con le nasse
Pesca con i cerchietti
Pesca con la canna (surf casting,
d’altura,… )
e gli altri
La istituzione del fermo-biologico
primaverile, di semplice attuazione e che permette un facile controllo sulla
salvaguardia dei fondali soprattutto nelle zone sotto-costa, se
esteso contemporaneamente in tutte le zone e per tutti i tipi di pesca, risulta
essere quindi la maniera migliore di salvaguardare la riproduzione della fauna
ittica, che è la priorità assoluta.
Altrimenti sarebbe come pretendere di avere figli nel corso dell’anno senza
che le femmine restino gravide a primavera.
Nell’Adriatico
centrale, considerato la culla del Mediterraneo, dove si rileva
scientificamente la più grossa concentrazione di fitoplancton*, ci sono
zone dove si dovrebbe attuare un fermo alternato di 6 mesi o un anno
(fra cui la Fossa di Pomo che è la nursery riconosciuta di scampi e naselli,
ZTB già istituita ma senza Piano di Gestione) .
Esse si possono rilevare sulla carta da queste coordinate:
Esse si possono rilevare sulla carta da queste coordinate:
1) Fossa di Pomo: 43°00’-14°56’/43°28’-15°18’/43°16’-15°40’/42°51’-15°16’
( su cui c’è
un accordo del 2000 dell’Unione Europea con la Croazia, rivedibile, adesso
che anch’essa è entrata nell’Unione. Purtroppo priva di Piano di
Gestione, da quanto ci raccontano i nostri che pescano in quelle zone, è
stata eccessivamente sfruttata da chiunque, sia da chi pratica lo strascico con
la tartana sia da chi pratica la pesca con il palangaro, ma soprattutto dai
sambenedettesi che vi pescano tutti da 5/6 anni con le invasive
reti americane doppie. Con il risultato che anche la famosa Fossa si è
impoverita, anzi desertificata).
Dal 26 luglio 2015, per un anno, sono
stati attivati i Piani di Gestione di divieto di pesca nella zona A e B:
2) “riconca”: 42°52’-14°27’/42°46’-14°32’/42°49’-14°39’/42°55’-14°35’
3) “gomito”: 42°52’-14°51’/42°54’-14°54’/42°59’-14°47’/43°01’-14°50’
4)“fondaletto”:42°44’-14°,48’/42°48’-14°54’/42°41’-14°51’/42°45’-14°58’
Quindi:
Zone di
divieto di pesca:
La vecchia
zona di divieto di pesca a strascico entro le 3 miglia dovrebbe
essere allargata a 4 miglia.
Naturalmente
va cercata l’adesione dei paesi rivieraschi adriatici (della Croazia, ma anche
dell’Albania e della Grecia, e della Slovenia– in proposito bisogna ben
indirizzare il progetto europeo SHAPE per l’Adriatico, in formazione-), e anche dei paesi rivieraschi
mediterranei, in modo da poter estendere la regola a tutti .
ZONE DI RISERVA o ripopolamento:
- Tutte le zone costiere fino a 4
miglia. Tra la costa e le 2 miglia dovrebbe essere permesso pescare solo
con le reti da posta con il limite di lunghezza di 1.000 metri max, e
comunque non delle lunghezze attuali, o con i piccoli palangari in
uso soprattutto sottocosta (Sicilia, Sardegna,…), e le nasse, ma
non durante il fermo biologico primaverile.
-
Quindi il limite per la pesca a strascico andrebbe posto a 4
miglia e il limite per la pesca con reti da posta e gli altri sistemi
a 2 miglia.
- La fascia tra le 2
miglia e le 4 miglia potrebbe rimanere zona di ripopolamento
dove è escluso ogni tipo di pesca, come se fosse una Riserva Marina Permanente,
durante il periodo di ripopolamento (a primavera).
Naturalmente
questa soluzione, che potrebbe essere valida per l’Adriatico, va valutata anche
dalle altre marinerie, per assecondare il più possibile gli usi e le abitudini
locali.
Sarebbe
auspicabile: in questo modo si regolerebbe tutta la pesca, soprattutto la
piccola pesca (reti da posta), che a primavera dentro le vecchie 3
miglia pesca tutte le “mamme”.
La piccola
pesca cattura, ad esempio le seppie, quando si avvicinano entro le 3
miglia tradizionali per la riproduzione. Deve per questo essere
vietata in quel periodo.
Oltretutto
non è possibile che la pesca a strascico vada a pescare di frodo entro le
vecchie 3 miglia, anche con i pescherecci d’altura come raccontano i
nostri pescatori, salvo mollare velocemente i cavi d’acciaio di un miglio in
caso di controlli improvvisi della G.d F. o della C.P., e riportarsi fuori,
eludendo i controlli.
Sarebbe ora
che le “bluebox”, fatte installare su ogni peschereccio perché ne possa essere
individuata la posizione, siano fatte funzionare e i controlli attuati, visto
che oltretutto sono costate e costano così tanto agli armatori. Anche se
adesso ci sarà il nuovo sistema AIS che darà la posizione in tempo reale e
quindi dovrebbe sostituire il "bluebox", contribuendo a non aggravare
i costi di gestione dei pescherecci con l'uso di due apparati simili.
Proporremmo
inoltre di limitare il tramaglio, molto più impattante sulla fauna marina,
anche protetta, come delfini e tartarughe, e meno “pescoso” per la seppia, come
dimostrato nel seguente lavoro dell’IZSA&M:
Giansante C. (1), Castriota L. (2),
Milillo G.S. (1), Salini R. (1), Andaloro F. (2), Ferri N. (1)
Evaluation
of the efficacy of bottom traps and trammel net in capturing cuttlefish Sepia
officinalis in Abruzzian waters (Adriatic Sea).
Pesca con
reti americane:
dopo i primi dubbi sollevati dallo
studio CNR-Unimar, luglio 2009, che è possibile leggere e vedere cliccando qui, a proposito del loro uso:
-per le caratteristiche delle
catture,
-per le quantità di pescato maggiori
rispetto alla “tartana” tradizionale, ma solo per certi tipi di pesce,
-per il consumo superiore di
carburante,
-e soprattutto per l’impatto sui
fondali
e dopo le
inconfutabili riprove avute nella pratica quotidiana degli ultimi tre anni,
in cui, rimanendo pressoché costante il numero dei giorni di pesca
settimanali, la scarsità crescente del pescato è evidente oramai a tutti gli
operatori, la responsabilità viene comunemente da noi addebitata alle invasive
reti americane, soprattutto se doppie.
Esse, come specificato nella
premessa, non strusciano sui fondali ma li arano, letteralmente. In tutte le
zone frequentate dai pescherecci che le usano, la rarefazione del pescato man
mano si è allargata ovunque, persino nella ricca fossa di Pomo, e si fa
risalire proprio alle reti americane la principale causa del depauperamento
della fauna ittica.
Quindi va
vietata nella maniera più assoluta.
Pesca con le lampare:
si è detto prima che dovrebbe essere coordinata con l'aiuto dei biologi dell'IZSA&M (o di altri istituti).
Nell'agosto del 2013 i comandanti hanno raccontato di una proliferazione eccessiva di tonni (la cui pesca è stata vietata dalla UE negli ultimi anni). E i tonni si nutrono soprattutto di pesce azzurro. Secondo il loro parere la pesca del tonno andrebbe ripresa in modo normale, in questo periodo.
La pesca con le lampare però adesso crea un problema alla pesca a strascico e all'ambiente.
Consiste nel fatto che i battelli che vengono messi in acqua ogni notte (3/4 per ogni peschereccio) si ancorano al fondo con un blocco di cemento e con un cordino di nylon invece che con il rampino, da sempre in uso, e che veniva ogni volta salpato. Adesso invece il cordino di nylon che ancora il battello viene reciso per velocizzare la manovra e rilasciato in acqua insieme al blocchetto di cemento. E il fondale si sta riempiendo di blocchi di cemento e di cordini di nylon.
I pescherecci a strascico che passano in zona successivamente si ritrovano i blocchi nelle reti e i cordini di nylon avvolti alle eliche e agli assi (che si riscaldano e si piegano, causando il blocco del motore). Dovrebbe essere vietato il loro uso affinchè non creino danni ai pescherecci a strascico e all'ambiente.
I blocchetti suddetti sono questi nella foto:
Pesca con le lampare:
si è detto prima che dovrebbe essere coordinata con l'aiuto dei biologi dell'IZSA&M (o di altri istituti).
Nell'agosto del 2013 i comandanti hanno raccontato di una proliferazione eccessiva di tonni (la cui pesca è stata vietata dalla UE negli ultimi anni). E i tonni si nutrono soprattutto di pesce azzurro. Secondo il loro parere la pesca del tonno andrebbe ripresa in modo normale, in questo periodo.
La pesca con le lampare però adesso crea un problema alla pesca a strascico e all'ambiente.
Consiste nel fatto che i battelli che vengono messi in acqua ogni notte (3/4 per ogni peschereccio) si ancorano al fondo con un blocco di cemento e con un cordino di nylon invece che con il rampino, da sempre in uso, e che veniva ogni volta salpato. Adesso invece il cordino di nylon che ancora il battello viene reciso per velocizzare la manovra e rilasciato in acqua insieme al blocchetto di cemento. E il fondale si sta riempiendo di blocchi di cemento e di cordini di nylon.
I pescherecci a strascico che passano in zona successivamente si ritrovano i blocchi nelle reti e i cordini di nylon avvolti alle eliche e agli assi (che si riscaldano e si piegano, causando il blocco del motore). Dovrebbe essere vietato il loro uso affinchè non creino danni ai pescherecci a strascico e all'ambiente.
I blocchetti suddetti sono questi nella foto:
Pesca al tonno:
già nell'estate 2012 i pescatori riferivano di un eccessivo proliferare di tonni dopo i divieti imposti dalla UE negli anni precedenti. Nell'estate 2013 il fenomeno è cresciuto, nonostante alcuni permessi rilasciati da essa. Sembra che non siano stati sufficienti (e i tonni si nutrono di pesce azzurro. Quindi la catena alimentare si modifica in modo innaturale). La UE dovrebbe essere più tempestiva ed efficace nella sua regolamentazione.
I sistemi di pesca più compatibili: pole and line - FAD free.
già nell'estate 2012 i pescatori riferivano di un eccessivo proliferare di tonni dopo i divieti imposti dalla UE negli anni precedenti. Nell'estate 2013 il fenomeno è cresciuto, nonostante alcuni permessi rilasciati da essa. Sembra che non siano stati sufficienti (e i tonni si nutrono di pesce azzurro. Quindi la catena alimentare si modifica in modo innaturale). La UE dovrebbe essere più tempestiva ed efficace nella sua regolamentazione.
I sistemi di pesca più compatibili: pole and line - FAD free.
Pesca con
reti da posta (o piccola pesca):
finora ha
goduto di una specie di immunità totale, sia per quanto riguarda la lunghezza
sia perchè non ha sottostato a nessun periodo di fermo.
Per cui, nei
periodi di pesca, esclusa quindi la primavera, la loro zona andrebbe limitata
entro le 2 miglia e la lunghezza della rete a 1.000 metri max.
o comunque non delle lunghezze eccessive attuali (oramai tutti, con una sola
rete, arrivano a coprire anche distanze enormi).
Altrimenti
non si riesce a capire perché la pesca a strascico, che impiega risorse
economiche molto maggiori per gli scafi, per i motori, per le attrezzature e
per le reti, debba sottostare a tante regole diverse, quali la lunghezza delle
maglie delle reti o il divieto di pesca sottocosta o il fermo biologico, e
invece la piccola pesca no.
Oltretutto
considerato che, operando essa sottocosta, va ad influire dove è maggiore il
fenomeno della riproduzione o del ripopolamento, maggiore deve essere quindi la
necessità di una sua regolamentazione per salvaguardare meglio la biodiversità
delle risorse ittiche (vedi cartine sulla distribuzione del fitoplancton,
precedenti).
Pesca con
palangaro:
dovrebbe
rispettare anche essa il periodo di fermo biologico primaverile, come
regolato per gli altri sistemi di pesca, perché il palangaro cattura tutti gli
adulti, che vivono al largo, e quindi è molto dannoso quando essi sono nella
loro maggior capacità riproduttiva.
Tutta la fossa centrale adriatica ne è invasa e in particolare la Fossa di Pomo, al cui depauperamento la pesca con il palangaro ha dato un grosso contributo.
E' inoltre storia di tutti i giorni che nelle eliche dei nostri pescherecci si impiglino centinaia di metri di palangaro con i relativi ami che vanno a stringersi intorno ad esse, causando il ricorso a continue manutenzioni in cantiere.
I palangari vengono calati per decine di km senza alcuna regola. Si veda questo articolo con relativo filmato
Tutta la fossa centrale adriatica ne è invasa e in particolare la Fossa di Pomo, al cui depauperamento la pesca con il palangaro ha dato un grosso contributo.
E' inoltre storia di tutti i giorni che nelle eliche dei nostri pescherecci si impiglino centinaia di metri di palangaro con i relativi ami che vanno a stringersi intorno ad esse, causando il ricorso a continue manutenzioni in cantiere.
I palangari vengono calati per decine di km senza alcuna regola. Si veda questo articolo con relativo filmato
Pesca delle
lumachine:
la stessa
marineria chiede di posticipare la pesca a gennaio-febbraio.
Lo scarto:
l’IZSA&M,
sulla scia di indirizzi di studio locali ma anche di linee guida europee, è
disponibile ad una sperimentazione ulteriore con la collaborazione dei
pescatori locali per valutare il possibile recupero dei pesci che vengono
ributtati a mare (lo scarto o by-catch) valutando le qualità organolettiche
degli stessi, e se il lavoro di preparazione e conservazione può essere
ricompensato da prezzi di mercato soddisfacenti per i pescatori ed anche per
gli acquirenti finali meno
“danarosi”.
Giorni di
pesca:
Si dovrebbe
pescare solo 3 giorni alla settimana (lunedì, mercoledì, giovedì).
(Agg.del 23.11.2015: secondo le ultime notizie ricevute, sarebbero sufficienti e remunerativi per i pescatori anche solo 2 (due) giorni di pesca alla settimana. I prezzi scendono e la quantità di pesce pescato non sopperisce a rendere remunerativa la loro attività).
(Agg.del 23.11.2015: secondo le ultime notizie ricevute, sarebbero sufficienti e remunerativi per i pescatori anche solo 2 (due) giorni di pesca alla settimana. I prezzi scendono e la quantità di pesce pescato non sopperisce a rendere remunerativa la loro attività).
Questo non
solo per lo strascico, ma anche per le reti da posta, etc…
La riduzione
dello sforzo di pesca deve essere generale, non solo della marineria pescarese.
Per gli
altri tipi di pesca (palangaro d’altura) i tempi vanno regolamentati in altra
maniera, concordandoli con le marinerie più interessate (siciliane,
sarde,…) che più effettuano la pesca al tonno, allo spada…, allontanandosi per
questo scopo settimane intere dalla costa.
Ripetere
l’esperimento per 3 anni e vedere i risultati.
Sicuramente
tutto quello che si fa deve essere supportato dalla ricerca scientifica per
valutare i risultati ed eventualmente affinare quanto è in sperimentazione.
Cassa
Integrazione:
Nei 2 o 3 mesi di fermo primaverile
i pescatori vanno aiutati con una forma di cassa integrazione.
E’
auspicabile una maggiore razionalizzazione delle risorse economiche europee,
nazionali e regionali sulle reali necessità della categoria, in
modo che non sia un sostentamento di basso profilo, ma una cifra che permetta
almeno di soddisfare i bisogni primari (intorno ai 1.000/1200 euro al mese).
Inoltre,
poiché ogni armatore ha fatto degli investimenti e ha mutui da pagare
(chi per lo scafo, chi per il motore, chi per le attrezzature,…), bisogna
riconoscere un rimborso a forfait, a tonnellaggio (?), per ogni barca, come si
è fatto con l’ultimo rimborso “De Minimis”.
E, aspetto più importante, bisogna
che il contributo sia elargito immediatamente, e non dopo un anno come è
avvenuto per i vari fermo-pesca attuati precedentemente, in modo da permettere
ai pescatori almeno il sostentamento immediato della famiglia, senza
costringerli a ricorrere allo scoperto in banca, ammesso e non concesso che le
banche siano disponibili, data la situazione economica attuale.
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AGGIORNAMENTI
23 novembre 2015: nella trasmissione televisiva "Pesca selvaggia" in Presa Diretta, di Riccardo Iacona, su Rai3, domenica 4 ottobre 2015, è stato possibile avere (e vedere) una conferma di quanto andiamo scrivendo dal 2011: clicca qui
Settembre 2016: dopo 1 anno di chiusura alla pesca della fossa di Pomo da parte delle autorità slave (e italiane) sono da evidenziare le seguenti problematiche:
- Avendo ristretto la
zona di pesca delle barche più grandi, quelle che appunto si recavano nella fossa di Pomo, queste si sono riversate nelle zone
più vicine alla costa aumentando lo sforzo di pesca in queste zone. Adesso
è il momento che ci sia una rotazione con le altre zone (indicate sopra) e
la fossa di Pomo dovrebbe essere riaperta, in accordo e condivisione
con i pescatori.
- Nonostante i
divieti alcune barche italiane vanno a pescare ugualmente nella fossa di
Pomo e non sono nemmeno soggette alle multe a cui sono soggette le altre:
bontà dell’Amministrazione italiana che si comporta con due pesi e due
misure ?
- Nonostante i
divieti le barche che praticano la pesca con il "palancaro" continuano a
frequentare quella zona di pesca a tutto svantaggio di quelle che non ci
vanno (quelle con lo strascico). Giustizia vorrebbe che se la zona è
protetta lo fosse anche per le barche che fanno questo tipo di pesca. Le
gelosie fra i pescatori mettono in evidenza il sistema NON RISPETTOSO DELLE ESIGENZE DI TUTTI, nemmeno dal punto di vista prettamente biologico. A pagare il conto è sempre la pesca a strascico.
- Nonostante questi
limiti imposti dai governi e dalla UE, a causa dello sfruttamento ancora eccessivo
delle zone di pesca e dei prezzi troppo bassi che i mercati danno agli
armatori, si rende necessario diminuire ancora di più lo sforzo di pesca e
passare dalle 72 ore (3 giorni) alle 48 ore (2 giorni) a settimana per
ogni barca. Meno pesce sui mercati = prezzi più alti (gli armatori sono alla fame) e minore sfruttamento
delle risorse ittiche.
- Il fermo-pesca
biologico viene ancora interpretato come un periodo di ferie pagato dallo
stato (male e in ritardo, in Italia). Per cui si ribadisce il concetto che il fermo,
per essere efficace, deve essere attuato nel periodo primaverile e non nel
mese di agosto (quando oltretutto i mercati remunererebbero meglio gli
armatori).
- Il fermo-pesca deve
riguardare tutti i tipi di pesca: a cominciare dalla piccola pesca che non
è soggetta a nessuna regola e tanto meno al limite di reti da poter calare
in mare. Oramai la piccola pesca opera dei veri e propri sbarramenti
generalizzati a cui non sfugge nessun tipo di pesce, soprattutto quelle specie che vengono a riprodursi sotto costa (seppie, etc...). E devono essere
coinvolte dal fermo-pesca anche le barche che praticano la pesca con il
palangaro. Non si vede perché solo queste debbano essere esenti dal periodo
di fermo-biologico necessario per la riproduzione.
- Si ribadisce la
necessità di eliminare le reti americane che danneggiano i fondali, e che la
pesca a strascico sia obbligata a tornare ad usare le tartane, (come d’altronde
alcuni pescatori più avveduti sotto il profilo naturalistico non hanno smesso di usare).
DELLA
PESCA_AGGIORNAMENTO GIUGNO 2017
Seguendo
le indicazioni che vengono dagli stessi pescatori (e cercando di barcamenarsi
fra le varie gelosie che si creano fra di essi a causa di leggi e divieti
inopportuni) si potrebbe buttare giù su questa pagina una serie di
provvedimenti che potrebbero (o dovrebbero) essere presi AD OGGI per limitare
lo sforzo di pesca e salvaguardare le risorse ittiche.
Questo
è lo scopo, visto il continuo depauperamento di esse, e queste sono delle
semplici indicazioni che poi dovrebbero essere discusse all’interno delle associazioni
marinare.
Il
problema non riguarda solo le marinerie italiane ma tutte quelle dei paesi che
si affacciano sul Mediterraneo, altrimenti non si capisce perché quelle
italiane, ad esempio, dovrebbero rispettare certe regole nella pesca in acque
internazionali (quelle fuori dalle 12 miglia dalla costa) e quelle croate
no (o quelle albanesi, greche, egiziane,
tunisine, spagnole, francesi etc… ).
E
quindi è chiaro che le norme da rispettare dovrebbero essere concordate con gli
altri stati europei o extra europei del Mediterraneo.
L’attenzione
delle Commissioni Europee (e italiane) è rivolta soprattutto alla pesca a
strascico o alle tonnare che ne pagano più di tutte le conseguenze.
Ma
seguendo le indicazioni raccolte anche sulle banchine dai diretti interessati
(i pescatori) si potrebbe stilare una prima serie di regole da seguire per
limitare lo sforzo di pesca, valevole per tutte le marinerie, e per conservare
intatte o migliorare le risorse ittiche:
FERMO
BIOLOGICO: secondo gli studi dei biologi marini, il fermo biologico dovrebbe
essere attuato in primavera (aprile-maggio, o marzo-aprile) e dovrebbe riguardare
tutti i tipi di pesca: a strascico, con i palancari, la piccola
pesca (con retine), etc…
Adesso il fermo
pesca viene inspiegabilmente imposto (in periodi sbagliati) solo alla pesca a
strascico (per le tonnare vengono imposti limiti in tonnellaggio di pescato) e
agli altri no.
PESCA
A STRASCICO: i pescatori più anziani dicono che le reti americane (o cosiddette
“gamberaie”) hanno molta responsabilità nello sfruttamento dei fondali perché
letteralmente li “arano”; al contrario delle reti a strascico tradizionali
(dette “tartane”) che solo “sfiorano” il fondale. Infatti le americane sono
armate con pesanti catene sulla bocca della rete. Ora addirittura le catene vengono
anche raddoppiate, cioè messe in doppia fila.
Questo è un nervo scoperto della pesca a strascico perché oramai quasi
tutte (al 90 %) le imbarcazioni usano le reti americane.
Ma, ripetiamo, secondo i pescatori più
anziani, è dall’eliminazione di queste reti che si dovrebbe
incominciare, ritornando alla pesca con le reti a strascico tradizionali, dette
“tartane”.
Dopo
di che, una regola semplice da seguire sarebbe quella di ridurre i giorni di
pesca da quattro o cinque giorni a due o max. tre giorni settimanali
(ad esempio lunedì, mercoledì, giovedì; o lunedì e giovedì soltanto). Anche
così è molto probabile che i pescatori dello strascico guadagnerebbero
ugualmente in quanto i prezzi sui mercati sarebbero più remunerativi.
PESCA
CON I PALANCARI: i pescatori lamentano che tale tipo di pesca colpisce
soprattutto i pesci riproduttori adulti e non ha limiti di giorni di pesca né
di tonnellaggio di pescato.
Quindi la pesca con i palancari dovrebbe essere anch’essa limitata a
due o tre giorni settimanali come la pesca a strascico e magari essere
praticata nei giorni alterni rispetto alla pesca a strascico (martedì,
venerdì, sabato): il motivo di questa alternanza sta nel fatto che i pescatori
dello strascico lamentano spesso il bisogno di portare in cantiere, a togliere
dall’elica e dall’asse, i fili aggrovigliati di nylon pieni di ami impigliati
ad essi (con grave danno economico) lasciati dalle barche che pescano con i
palancari.
Dovrebbe
esserci un limite alla lunghezza dei palancari.
PICCOLA
PESCA (RETINE, TRAMAGLIO, ETC…): non ha alcuna limitazione imposta sia per la
lunghezza delle reti sia per i giorni di pesca perché viene ritenuta la più
compatibile con l’ambiente marino.
Ma
così non è perché anch’essa pesca tutti gli adulti riproduttori e quindi
dovrebbe essere limitata, ugualmente allo strascico o ai palancari, e dovrebbe
essere limitata soprattutto nel periodo di riproduzione. Vengono praticate attualmente cale di retine lunghe anche 5-6-7 kilometri: lunghi tratti di
costa sono praticamente rinchiusi fra doppie, triple, quadruple file di retine
e anch’esse pescano gli adulti riproduttori che vengono a riva per la
riproduzione in primavera; pesaci che dopo la riproduzione ritornano al largo.
Quindi
dovrebbe esserci un limite alla lunghezza delle reti ed anche un
limite settimanale di giorni di pesca (tre giorni a settimana).
PESCA A
LAMPARA (pesce azzurro): è già di suo abbastanza regolamentata in quanto
esercita l’attività solo nei giorni di luna piena e bel tempo.
L’unica
osservazione che si può ad essa muovere è quella che riguarda gli ancoraggi dei
battelli durante la fase di pesca: cioè gli ancoraggi fatti con i blocchetti di
cemento.
Una volta i battelli si ancoravano con dei rampini (che venivano poi
salpati). Adesso i battelli si ancorano con dei blocchetti di cemento (60 x 20
x 10 circa) legati ad un filo di nylon che viene tagliato al momento in cui
devono essere salpati (per fare prima). Ma quei blocchetti lasciati sul fondo
del mare finiscono poi nelle reti dello strascico e, come per i palancari, vanno
alle eliche e agli assi delle eliche, costringendo i pescherecci a tirare in
secco per liberarsi dai fili di nylon (con grosse spese). Bisognerebbe perciò
che le lampare ricominciassero ad usare i rampini ( c’è un divieto per l’uso dei
blocchetti che non viene fatto rispettare dalla CP).
PESCA
AL TONNO: è già regolamentata da norme europee. In verità i pescatori dell’Adriatico
sostengono che i tonni in questo mare sono tornati ad essere in sovrannumero.
Bisognerebbe verificare con l’aiuto dei biologi marini.
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settembre 2011 (ultimo aggiornamento giugno 2017)
settembre 2011 (ultimo aggiornamento giugno 2017)
Anche a termoli si teme per queste reti americane di cui ora si stà discutendo perchè molti vogliono utilizzarle visto il maggior pescato di alcuni pescherecci che già le utilizzano.Molti sono contrari ma non si sà lo sviluppo di questa problematica.Vorremmo avere un contatto per vedere,con scienza e coscienza di escluderle per il bene del futuro sia del MARE e della CATEGORIA e anche dei CONSUMATORI.Bisogna far capire a chi non vuol capire.
RispondiEliminaIl problema è grande. Molto più grande di quello che sembra, perchè, dopo il primo studio di Unimar 2009, che sollevava già molti dubbi, le verifiche fatte in quasi tutti i porti indirizzano verso l'abolizione totale delle reti americane.
EliminaInvece ci sono i sanbenedettesi che pescano addirittura normalmente con le doppie, e le altre marinerie che non hanno preso una posizione precisa.
Ma fanno come gli struzzi che non vogliono vedere.Però confermano anch'essi,confidenzialmente a voce, che le reti americane distruggono l'ambiente.
D'altronde il mare vi è stato affidato in concessione per pescare (non è vostro), ma se voi stessi non lo salvaguardate, chi può darvi una mano ? Chi non sa queste cose ?
A novembre abbiamo mandato una relazione al vice-commissario alla pesca europeo, on. Milana, e al Ministro italiano, Catania, e al direttore del Ministero, Abate.
Poi anche al direttore pesca, Di Paolo, della Regione Abruzzo e all'assessore Mauro Febbo.
Adesso tocca a voi riunirvi e decidere tutti insieme, per fare ancora pressione. Noi siamo disponibili. Quando volete.
Buon giorno Antonio
RispondiEliminaSono Luigi e ti scrivo dalla Svizzera siccome ho bisogno di avere delle informazioni inerenti le reti da pesca e le barche.
Per capire meglio la natura delle domande che ti pongo devo farti un picco sunto di chi sono e cosa faccio.
Sono il cassiere di una ONG (organizzazione non governativa), di una società di aiuto allo sviluppo nella repubblica del Benin in Africa.
La nostra società registrata in svizzera con l'acronimo di FONFOME in questo momento si sta occupando di sostegno agli abitanti pescatori del comune di GrandPopo a sud ovest del dipartimento di MONO Repubblica del Benin (africa Occidentale).
Abbiamo in questo momento delle persone presenti sul territorio che mi chiedono delle informazioni in merito a accessori da pesca ma come ben puoi immaginare qui in Svizzera non abbiamo il mare e quindi non ci intendiamo di questo tipo di accessori.
Attualmente loro pescano con delle barche stile piroghe lunghe circa 12m e del peso complessivo di 4-5 Qt senza motori.
Utilizzano delle reti da gettare in mare di forma rotonda e delle reti da calare sul fondo del mare; parlando con il villaggio dei pescatori ci dicono che sarebbe loro utile avere dei motori da installare sulle loro barche e avere delle migliori reti da pesca per poter pescare meglio allargo della costa.
Il problema e che ci fanno delle richieste che a noi sembrano al quanto strane infatti ci chiedono due reti da gettare in mare dalle dimensioni di 400 m2 l'una e dei motori da 100 CV che ci sembrano eccessivi per il tipo di imbarcazioni che utilizzano.
Spero che tu possa darci qualche consiglio e dritta per capire meglio la situazione e comprendere meglio le loro reali necessità.
Un cordiale saluto
Bettoni Luigi
luigi70@bluewin.ch
078 608 66 49
Caro Bettoni,
Eliminati ringrazio innanzitutto di avermi interpellato.
Se ti occupassi di zone di pesca nazionali ti consiglierei tutto quanto c’è scritto in questo studio: per i motori, per le reti, per il calendario di pesca, etc…
Ma poiché mi chiedi consigli per la pesca nella Repubblica del Benin dovrei entrare in particolari aspetti di quelle zone che non conosco, soprattutto per le caratteristiche che dovrebbero avere le barche da pesca dei locali indigeni. Ma questo aspetto si può facilmente colmare con ulteriori approfondimenti.
Purtuttavia ti dico che in linea generale, visto che quei pescatori si apprestano a vivere esperienze e fenomeni che qui da noi si sono già avverati, in quanto lo sfruttamento intensivo della pesca risale in Italia alla prima metà del ‘900 (quindi da circa un secolo), le regole da rispettare dovrebbero essere in linea di massima quelle descritte nella relazione fatta in collaborazione con la biologa marina, dott. Carla Giansante e pubblicata all'interno di questo stesso studio.
Si dovrebbero però verificare queste considerazioni con le situazioni ambientali della Repubblica del Benin per meglio definirle.
A tal proposito, penso di farti cosa più utile a segnalarti il servizio televisivo realizzato da Riccardo Iacona per la trasmissione PRESA DIRETTA: è andato in onda il 4 ottobre scorso, e in esso Iacona fa riferimento anche a quanto accade nel Senegal (ti segnalo il link: http://www.presadiretta.rai.it/dl/portali/site/puntata/ContentItem-55031181-3173-4cd3-a151-6e843ea8d4b9.html ).
In esso (verso il 50.mo minuto, ma è consigliabile vedere tutto il servizio) Iacona riporta che a causa dello sfruttamento piratesco di quei mari fatto da stranieri, o da multinazionali o da gente al servizio di esse, le risorse ittiche di quel mare si stanno esaurendo. Ma, con l’aiuto di un biologo marino di Dakar, il governo locale sta cercando di mettere riparo a questo fenomeno.
Io credo che la strada da seguire sia proprio quella che stanno cercando nel Senegal, aggiungendovi e confrontandola con quanto è già avvenuto dalle nostre parti.
Nel caso che tu abbia bisogno di ulteriori notizie o di consigli particolari non evitare di chiedermeli. Proverò a dirti quanto ti può servire, pur nella limitatezza delle mie conoscenze (anzi delle nostre, intendendo con questo dirti che tengo sempre vivo il contatto con i miei amici pescatori da cui posso attingere continuamente le novità).
Cordiali saluti,