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mercoledì 20 novembre 2013

Il dragaggio/11: è arrivata la Restaurazione.


E' accaduto di nuovo !
E' accaduto quello che pensavamo non potesse accadere, soprattutto adesso con il Governo Letta, impegnato a rimettere ordine, capacità professionali ed etica nelle faccende dello Stato. Siamo indignati.

Colui che è riuscito a portare avanti il dragaggio, senza che la Procura avesse da dire niente sul rispetto delle norme ambientali e procedurali, e con la soddisfazione dei pescatori che sono riusciti a tornare in mare (a breve sarebbe venuta anche quella degli operatori commerciali della darsena -carburanti e traghetto passeggeri-), cioè l'ing. Carlea, il Provveditore per l'Abruzzo/Lazio/Sardegna, è stato rimosso dall'incarico e destinato al Provveditorato Campania/Molise, dal 15 settembre scorso.


l'ing. Donato Carlea



L'abbiamo saputo due giorni fa, tra il silenzio assordante della stampa locale (non tutta: leggi qua), presi per tutta l'estate da altri problemi e sicuri che le operazioni di dragaggio procedessero normalmente come previsto. 
Pensavamo che il Provveditore, gran galantuomo e tecnico di grandi capacità, dovesse essere piuttosto promosso ad altro superiore incarico, se proprio lo si voleva spostare.
Invece, è stato rimosso, per far posto di nuovo a quei dirigenti del Ministero, del Provveditorato, e a quei tecnici che tanti guasti hanno fatto al porto di Pescara (e alla città de L'aquila, come riferisce l'articolo di cui sopra).

Evidentemente i giochi sottobanco al Piano Regolatore Portuale di Pescara sono enormi. 
E anche quelli per la ricostruzione della città de L'aquila, dove pure l'ing. Carlea aveva dimostrato le sue capacità istituzionali.

Quanto ai guasti arrecati al porto di Pescara, che seguiamo da anni particolarmente, siamo costretti a volgere l'attenzione ai tecnici che l'hanno progettato, o che hanno fatto per esso lo studio di impatto ambientale, o che l'hanno avallato: rispettivamente, il Genio Civile OO.MM. di Ancona (redattore della variante al PRP del 1997), l’ing. Noli (che ha fatto lo studio di impatto ambientale della diga con la societàESTRAMED), e  l’ing. De Girolamo (che ha avallato nel 2001 la costruzione successiva del braccio di levante come presidente della Commissione ANPA-Ministero/Comune).

A conferma di quanto abbiamo sempre fatto presente, ultimamente, il 29 ottobre 2013, lo stesso ing. Noli, durante il convegno promosso in Provincia dall'ex-commissario al dragaggio Guerino Testa e dai comitati civici dell'ex sindaco D'alfonso, ha affermato a proposito della diga foranea  (abbiamo il sonoro registrato):

 “Questa è la situazione del porto di Pescara al 2004: si vede bene come il pennacchio del Pescara si disponga verso la spiaggia, diciamo, dalle due parti del porto. Questo è l’effetto della diga foranea che era stata realizzata prima del 2004 e era stata progettata dalla società ESTRAMED che era una società esperta nel campo”...
…”In realtà questa diga foranea, che ha dato tanti fastidi, dal punto di vista tecnico sembrava realizzato bene. In effetti, lo confesso, non mi ero accorto di questo problema grosso che nasceva e che era determinato sia dall’insabbiamento di tutta la parte portuale sia dalla migrazione di tutta la corrente del fiume verso le due parti del porto ed in particolare verso la spiaggia a nord-ovest”...  



la locandina del convegno !!!


Ora, che Noli dica che non aveva previsto, nel fare l'impatto ambientale per la diga, che questa potesse creare interrimenti dimostra la bontà delle ns. intuizioni, comunicate nella lettera del febbraio 2000 a tutte le autorità civili e militari prima della costruzione del braccio di levante, e poi esplicate nella relazione: Correnti, venti costieri e interrimenti.

Ma dimostra anche, se proprio non si voleva ascoltare un comitato di semplici cittadini e professionisti locali, che nessun ascolto diede l'ing. De Girolamo (incaricato nel 2001 a presiedere la commissione ANPA che avallò la costruzione del braccio di levante) sia alla relazione del dicembre 1999 dell'ing. Matteotti, noto luminare di fluidodinamica dell'Università di Padova, (chiamato dall'assessore di allora, Carlo Masci, dopo un lungo chiarimento con noi al mare, sotto l'ombrellone) sia a quella dell'arch. Polacco, uno dei più grossi esperti italiani di pianificazione portuale, chiamato per mecenatismo e a nostra insaputa da Filippo Antonio De Cecco, allora presidente della SAGA (aeroporto), a cui avevamo indirizzato la lettera.

(L'ing. Matteotti  ci confidò nel 2005 o 2006, quando lo contattammo perchè il sindaco D'alfonso sembrava voler sentire le sue opinioni sul porto dopo una riunione al Ministero, che ancora non aveva ricevuto dal Comune la parcella per la sua relazione. Non sappiamo come è andata poi la storia).

Adesso Noli e De Girolamo, secondo noi, dato che sono i responsabili del guasto attuale del porto, dovrebbero stare zitti e non venire a fare convegni. 
Nel 2000, avevamo detto che il porto di Pescara avrebbe dovuto fare "il passo giusto secondo la gamba". Sarebbe dovuto diventare un piccolo porto per un traghetto con la Croazia e per piccole navi passeggeri "d'elite". Oltre che per il consolidato traffico petrolifero. 
Ma in sintonia con l'ambiente e soprattutto con i paraggi marittimi, costituiti da bassi fondali sabbiosi.  
E invece il porto che hanno per forza voluto si è tutto insabbiato ed è restato chiuso per più di un anno, nel 2012.
E per assurdo (o per paura ?), l’allora sindaco Luciano D'alfonso ha affidato  il nuovo PRP di Pescara proprio a coloro che hanno sbagliato tutto.

Solo grazie alle capacità dell'ing. Carlea e dello staff del Provveditorato si è ritornati pian piano, con l'effettuazione del dragaggio, alla quasi normalità e si aspettava che dessero un assetto "possibile" al porto, o recependo le ns. indicazioni del 2000, e la nostra Proposta, o quelle del PRP  o altre eventuali.

Anche se quest'ultimo PRP è stato contestato fortemente nella fase di VAS (nel novembre 2012) da 20 soggetti, fra cui i più importanti sono i comandanti dei pescherecci del porto (TUTTI), l’Associazione Armatori di Pescara, l’Ordine degli Ingegneri di Pescara e il WWF. 

Ma la VAS, dopo un anno, ancora non ha detto se quelle Osservazioni sono giuste o sbagliate.

L'occhio vigile, competente e fuori dai giochi politici dell'ing. Carlea ci rassicurava che, qualsiasi fossero state le soluzioni che lui e il Provveditorato avessero preso per definire l'assetto del porto dopo il dragaggio, sarebbero comunque state le migliori possibili per la città di Pescara, anche se avessero dato torto alle nostre Osservazioni.
Invece adesso non siamo così fiduciosi.

Cosa devono pensare i cittadini pescaresi e gli operatori del porto dei politici che hanno avallato tali errori progettuali e avallano tutt’ora soluzioni che vengono da chi finora ha solo sbagliato ?

E cosa devono pensare del Governo Letta, in carica dal 28 aprile 2013, se ha permesso che si svolgessero i giochi raccontati dalla stampa su citata nel Ministero delle Infrastrutture (retto dall’on. Maurizio Lupi) ?

Certo, se la Corte dei Conti avesse occhi e orecchie…



martedì 19 novembre 2013

Lo studio dell'arch. Alberto Polacco (aprile 2000) - esperto di pianificazione portuale

Studio preliminare dell'arch. Alberto POLACCO
 esperto di pianificazione portuale e già segretario generale del porto di Ravenna e di Porto Marghera
Pescara, Aprile 2000

Gli interventi di infrastrutturazione in corso di realizzazione.

Il Porto di Pescara è sito alla foce del fiume omonimo ed è difeso da due moli distanti fra loro 44 metri che si estendono in mare rispettivamente per circa 450 metri per quanto riguarda il molo Nord e per circa 550 metri per il molo Sud. La riva Nord del fiume, banchinata, è riservata all’approdo della locale flotta peschereccia e dispone di un piccolo scalo di alaggio a servizio della stessa. La riva Sud del fiume, anch’essa banchinata, comprende la banchina commerciale e più a monte banchine per l’approdo dei pescherecci e di altro naviglio di piccolo tonnellaggio. In base ad una Variante al Piano Regolatore del Porto di Pescara, è stata recentemente completata la costruzione di una diga foranea a mare (con direzione rispetto alla costa Sud-Ovest/Nord-Est) lunga circa 700 metri e distante circa 400 metri dalla punta dei moli. 



il Piano Regolatore Portuale del 1997, nel 2000, non ancora completato (era stata costruita solo la diga foranea) 


La banchina commerciale del porto-canale consente anche quattro accosti per piccole navi da carico, navi cisterna e traghetti. Il molo Nord ha solo funzione di frangiflutti del canale a mare. Dal molo Sud in direzione Sud-Est si estende un ulteriore molo guardiano pressoché parallelo alla costa e della lunghezza di oltre 700 metri a protezione del nuovo porto turistico “Marina di Pescara”. 
A completamento delle strutture esistenti, la Variante al Piano Regolatore Portuale prevede la costruzione di un nuovo molo della lunghezza di 380 metri radicato a quello sopraflutto dell’esistente porto turistico. E’ altresì prevista la realizzazione di un nuovo ambito portuale attraverso la realizzazione di due banchine esterne al porto turistico, ortogonali tra loro, con sviluppo complessivo di 400 metri (200 metri per banchina) con restanti piazzali per una superficie complessiva di 22.600 mq. 
Il completamento del progetto così definito dovrebbe consentire di ricavare un ampio avamposto sufficientemente protetto in tutte le direzioni, atto a consentire idonee condizioni in sicurezza di accesso e di attracco alle diverse tipologie di vettori marittimi che utilizzano il Porto di Pescara. 



il Piano Regolatore Portuale completo, del 1987


In relazione a tale disegno nel Marzo 1987 il Genio Civile OO. MM. di Ancona, redattore del progetto, evidenziava: 
“[…] Le opere progettate potranno consentire di ottenere un salto di qualità per il porto di Pescara con i seguenti vantaggi: 
- rendere operativa e sicura l’attività peschereccia in quanto attualmente, con lievi mareggiate da tramontana (le più frequenti), i natanti sono costretti a restare nel bacino oppure, se in mare, a cercare rifugio in altri porti con le imboccature più sicure, poiché con tali condizioni di mare l’ingresso nel canale di Pescara risulta estremamente ed assolutamente pericoloso; - rendere sicuro l’ormeggio in banchina: il moto ondoso attualmente, durante le normali mareggiate, si incanala tra i moli e raggiunge il bacino portuale causando una notevole risacca;
- consentire il mantenimento dei traffici commerciali con riduzione dei tempi di attesa delle navi che allo stato attuale possono entrare ed uscire dal porto con mare perfettamente calmo. Inoltre tali traffici potrebbero essere incrementati con un auspicabile rilancio del cabotaggio, considerato che l’attuale banchina commerciale lineare di metri 680, attrezzata con opportuni mezzi di sollevamento semoventi, ha una potenzialità di resa al metro lineare notevolmente superiore a quella attualmente ottenibile per i limiti derivanti dalla difficoltà di accesso e di difesa del canale; 
- favorire un rilancio del traffico passeggeri che potrebbero contare su possibili collegamenti anche nei periodi più sfavorevoli dell’anno dal punto di vista meteo-marino. 
La costruzione delle due banchine esterne consentirà l’ormeggio a traghetti di dimensione maggiore di quello attuale (il riferimento è al traghetto “Tiziano” che collegava Pescara a Spalato) in qualunque periodo dell’anno. Il collegamento con la Jugoslavia riveste una particolare importanza per l’economia locale, soprattutto alla luce dell’eccezionale aumento del traffico passeggeri che si è registrato negli ultimi anni[…]”.

Il nuovo progetto fu convalidato dai risultati di uno studio specifico condotto dalla società ESTRAMED S.p.A.(“Prove su modello fisico ed analisi della manovrabilità alla imboccatura portuale”) dell’aprile 1987. 
Il suddetto studio esaminò sei diverse configurazioni delle opere che ipotizzavano comunque la completa realizzazione dell’adiacente porto turistico. 
Le prove furono eseguite nelle più gravose situazioni di mare con moti ondosi provenienti al largo da Nord, Nord-Est ed Est e tenendo conto della portata defluente del fiume Pescara. 
In particolare nella riproduzione dei fenomeni che concorrevano a produrre le più gravose condizioni di agitazione all’imboccatura portuale nel modello fisico, fu compresa una portata nel canale di 120 m3/s pari ad una piena di ritorno annuale. 
Per quanto concerne l’eventuale influenza delle opere a mare sul regime di deflusso della massima piena, il modello fisico tenne conto di una portata di circa 1.100 m3/s pari alla portata massima prevedibile. 
Le simulazioni di manovra all’imboccatura portuale in entrata ed uscita furono effettuate in presenza, oltre che dal moto ondoso, anche di correnti con velocità di 2 nodi e di direzione di provenienza di Nord-Ovest e di venti 30 nodi. 


figura ripresa dal libro della Provincia di Pescara (presidente D'alfonso) redatto dal Genio Civile OO.MM. di Ancona


La Terza Sezione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici si espresse sulla proposta di Variante del Piano Regolatore portuale il 27 Gennaio 1988 con voti favorevoli 587 che approvava il progetto con alcune prescrizioni e facendo salvo il parere di competenza del Ministero dell’Ambiente. 
Le prescrizioni erano così riassunte: 
- necessità di produrre e sottoporre nuovamente al Ministero dei Lavori Pubblici i calcoli statici delle opere, specificatamente quelle riguardanti le strutture antiriflettenti; 
- necessità che a corredo di tali calcoli fossero presentate le indagini geologiche e geognostiche prescritte dalle norme in vigore; 
- previsione di un “dente di attracco” delle dimensioni planimetriche di ml 25 x ml 25 da realizzare nell’angolo costituito dalle linee esterne delle due banchine di avamposto per consentire l’attracco contemporaneo di due traghetti; 
- esecuzione della diga foranea con massi di seconda e terza categoria con rapporto del 50%; il piano di imposta della stessa incassato nel fondale per un’altezza di almeno ml 1,50 e l’approfondimento della rasatura della berma subacquea in base a nuovi calcoli da produrre. Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici in sede di voto ritenne soddisfacenti i chiarimenti ulteriori riguardo gli accessi via terra alla zona dell’avamporto e circa il trasporto solido del fiume Pescara. 

Per quanto riguardava il trasporto solido del fiume Pescara il Genio Civile OO. MM. Assicurava tale quantità limitata, asserendo che il bacino portuale in pratica funzionava da vasca di decantazione per il materiale solido. Tale situazione veniva confermata dalle risultanze delle operazioni di escavazione di materiale prevalentemente fangoso eseguite all’interno del bacino portuale (nell’ordine di circa 50.000 m3 all’anno), mentre non erano stati eseguiti interventi nel canale di accesso al porto, mantenendosi i fondali costantemente superiori a –5,50 metri. 
Il Genio Civile OO. MM. concludeva che erano da escludersi “interramenti di una certa quantità nell’avamporto” ed “interventi straordinari di escavazione” conseguenti. 
La realizzazione delle nuove opere fu suddivisa in due stralci: 
il primo riguardò la costruzione della diga foranea di sbarramento presente a circa 400 metri dalla foce del fiume, resasi necessaria dopo la drammatica alluvione del 1992 che provocò danni incalcolabili in particolare alla flotta peschereccia; 
il secondo, attualmente in fase di appalto, era quello relativo al secondo molo del porto che ha funzione di protezione delle imboccature del porto canale dalle mareggiate di Nord-Est e che consente, sul versante protetto, l’attività portuale. 

La consegna dei lavori relativi alla costruzione del secondo molo di avamporto e al nuovo sistema portuale è avvenuta nel mese di Marzo dell’anno corrente. 
In riferimento all’imminente completa attuazione del Piano Regolatore del Porto di Pescara sono sorte all’interno di diverse componenti della società civile pescarese notevoli perplessità riguardo l’alterazione dell’equilibrio idraulico nell’avamporto, sui riflessi delle nuove opere sul sistema costiero e sui risultati della nuova infrastrutturazione in termini di redditività economica sulla pesca e sul turismo.

Gli effetti idraulici e l’inquinamento sull’avamporto e sulla costa.

Nel presente capitolo si intendono analizzare gli effetti che già le nuove opere costruite (diga foranea) hanno causato sul sistema idraulico e delle connesse alterazioni ambientali, oltre ai probabili aggravamenti che potranno emergere qual’ora le opere previste vengano completate. 
Il fenomeno più macroscopico emerso sul sistema dell’avamporto di Pescara al seguito della costruzione della diga foranea è quello relativo alla profonda modifica del suo fondale per diffusi interramenti. 
Che ciò fosse possibile era ben noto. 
Lo schema del porto con diga foranea disposta in parallelo alla costa “è adottato in località senza problemi di trasporto solido e con settore di traversia ristretto, spesso lungo coste rocciose e con ripidi fondali” (L. Franco e R. Marconi - “Porti turistici. Guida alla progettazione e costruzione” - Rimini 1995). 
La tavola (elaborato n. 3) di progetto, redatta dall’Ufficio del Genio Civile OO. MM. di Ancona il 6 Ottobre 1987, che presenta le opere di variante così come esaminate dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (ed in seguito approvate con D. M. 3/6/1998 n. 990), riportava le isobate dell’avamporto all’epoca. 
Emerge che la profondità dei fondali dell’avamporto erano comprese tra la batimetria –6 metri e la batimetria –8 metri. 
Per la realizzazione delle nuove opere dal Genio Civile OO. MM è stata inoltrata apposita istanza per l’escavazione dei fondali secondo la descrizione che segue: 
“[…] I lavori di movimentazione sono necessari per la realizzazione della canaletta di imbasamento del nuovo molo in progetto, imbasato a quota –8 metri dal l.m.m. per tutta la sua lunghezza e dalla scogliera di sottoscarpa imbasata da –9 metri dal l.m.m. a –7,70 metri (fondali attuali variabili da –5,30 metri a –7,70 metri dal l.m.m.) e la canaletta per il posizionamento della banchina (di riva ed Est), costituite da cassoni in c.a. pluricellulari inbasati a quota di 10,50 metri da l.m.m. (fondali attuali da –5,80 metri a –7,50 metri dal l.m.m.)[…]”. 
La relazione continua evidenziando che il quantitativo da dragare, costituito da materiale sabbioso, era di 85.000 m3 ed allega i dati sulle caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche del materiale da prelevarsi, redatta a cura dell’Università di Urbino – Istituto di Geodinamica-Sedimentologia, elaborati a seguito della campagna di carotaggio eseguita nel mese di Febbraio 1998 ed integrava una campagna eseguita circa 10 anni prima dalla società IVALTUSA. 
Le conclusioni dell’allegato evidenziavano che il materiale da estrarre era privo di significativi inquinamenti e che nel particolare si rilevava la scarsa presenza di metalli e di idrocarburi policiclici aromatici oltre l’assenza di pesticidi, PCB, coliformi, streptococchi e salmonella. 
Il quadro positivo veniva commentato nel modo seguente: 
“[…] Malgrado la vicinanza della foce del fiume Pescara i sedimenti non presentano alcun problema per la movimentazione e discarica […]”. 
Veniva solo annotato che qualora il materiale avesse dovuto essere utilizzato per il ripascimento della spiaggia in erosione ci si doveva preoccupare della compatibilità granulometrica in quanto le sabbie dell’escavo erano tutte fini o finissime con livelli di limo.

Il progetto indirizza così l’utilizzo del materiale dragato per 60.000 m3 a riempimento per la formazione dei piazzali di servizio al porto ed i restanti 25.000 m3 per lo scarico in mare in un sito ad oltre 5 miglia dalla costa, tramite trasporto con il mezzo effossorio operante, dotato di pozzo a fondo apribile. 
La lettura del rapporto dell’Università di Urbino era stata molto superficiale! 
Il prospetto riguardante i dati di stazione dimostrava che i campioni alle stazioni n.2 (sito posizionato circa a metà dello sviluppo della nuova banchina) e n.3 (sito posizionato circa a metà dello sviluppo del nuovo molo) erano stati prelevati a partire rispettivamente dalle profondità di 6,1 metri (stazione 2) e di 6,5 metri (stazione 3) anziché a partire dal piano sommerso di –7 metri e di –8 metri rappresentato nel progetto. 
Ovvero il fondale, a seguito della costruzione della diga foranea, si era interrato già di circa un metro. 
Durante il mese di Marzo 2000 si è concluso il dragaggio di un quantitativo di 67.000 m3 precedentemente autorizzati dal Ministero dell’Ambiente. 
A fronte la Capitaneria di Porto ha più volte affermato che nel porto necessiterebbe il dragaggio di un quantitativo ulteriore di circa 140.000 m3. 
Siamo in presenza in modo documentato di una situazione problematica dei fondali i quali, già senza l’attuazione delle nuove opere, necessitano di ingenti operazioni di dragaggio, per le quali in realtà non esiste un sito adatto almeno dimensionalmente di conferimento né in mare né a terra. 
Il tetto limite posto dal Ministero dell’Ambiente specifica quanto conferimento di materiale il fondale marino può sopportare. Ma la realtà è ancora più drammatica. 
Si è in possesso di un rilievo recentissimo (4 Marzo 2000), eseguito da privati in modo ufficioso, che testimonia inequivocabilmente il processo di progressivo interrimento dei fondali dell’avamporto avvenuto in seguito alla costruzione della diga foranea. L’interrimento avviene nelle due direzioni naturali di uscita delle acque del fiume Pescara a seguito dell’interruzione del suo sbocco naturale in mare. La situazione più gravosa è all’uscita Ovest. Si sono rilevate ampie secche, con conformazione “a lingua” (a testimonianza del trascinamento del materiale da parte del fiume) che vanno nel versante Ovest da -4,50 metri a -3,30 metri in sostituzione dei naturali fondali rilevati all’epoca del progetto tra i -7,00 metri ed i -5,00 metri sul livello del mare e nel versante Est da -6,50 metri a -6,00 metri anziché da -7,50 metri a -6,50 metri. 


batimetrie dell'avamporto, prima della costruzione della diga foranea


batimetrie dell'avamporto, dopo la costruzione della diga foranea



Inoltre a ridosso della diga foranea si va formando una barriera d’interrimento con cuspide sempre più ampia verso lo sbocco del fiume Pescara che già presenta batimetriche inferiori ai 5 metri nella fascia interna di avamposto per oltre 80 metri della diga foranea. Anche se è evidente che quanto rilevato necessita di approfondititi controlli tramite una campagna batimetria apposita, che peraltro speriamo possa smentire i valori in possesso, ci si chiede fin d’ora quali futuro possa avere il porto di Pescara profondamente condizionato da processi irreversibili di interrimento, che non possono aspirare a sanatorie continuative attraverso il dragaggio alla luce dei condizionamenti sul conferimento a mare e sull’utilizzo a terra: condizionamenti che non permettono neppure programmi di tradizionale manutenzione. 
Peraltro nel caso si trovassero gli ingenti fondi necessari per sanare la sola attuale situazione, la problematica del conferimento risulterebbe di difficile soluzione.
Questo perché i fanghi dell’avamporto forse non avranno quelle caratteristiche di salubrità emerse quattro anni or sono nel rapporto dell’Università di Urbino. 
La stampa locale ha più volte descritto l’attuale situazione: i fanghi trascinati dal fiume presentano valori altamente inquinati. 
Sul letto del fiume ci sono metalli altamente tossici quali piombo e zinco. 
Dai controlli ancora parziali eseguiti dall’ARTA nell’ultimo tratto del fiume (i punti di prelievo sono stati al ponte della Circonvallazione, al ponte di Villa Fabio, 50 metri a monte del ponte D’Annunzio e nel porto canale all’altezza della Madonnina) emerge che le acque sono profondamente insalubri oltre che per gli scarichi fognari anche per la presenza di alcune sostanze chimiche: 
i valori dell’azoto ammoniacale e del fosforo risultano essere da 5 a 10 volte superiori alla norma; 
a pochi metri dalla foce gli esami microbiologici hanno registrato la presenza di salmonella e di colibatteri, sono assai rilevanti i valori di coliformi totali e dei coliformi fecali. 
Livelli estremamente alti si registrano per gli enterococchi e per gli eschericocchi. 

A conferma di ciò, per il risanamento del fiume in relazione all’apporto degli scarichi fognari la Provincia di Pescara ha presentato recentemente un programma poliennale per complessivi 43 miliardi, 5 dei quali stralciati immediatamente quale intervento urgente. 
La Regione Abruzzo ha stanziato ulteriori 5 miliardi per intervenire sull’ultimo tratto del fiume ed eliminare il versamento delle fogne e gli altri scarichi civili industriali; gli interventi immediati interesseranno le apparecchiature elettromeccaniche di sollevamento esistenti nel tratto ricadente nel Comune di Pescara, la sistemazione della condotta e degli strumenti di sollevamento di Villa Raspa e del depuratore di Chieti S. Martino. 
Anche se attraverso tali interventi si eviteranno nel fiume gli scarichi diretti non convogliati negli impianti di depurazione, l’inquinamento del porto è già presente e potrà essere sanato attraverso ingenti operazioni di dragaggio. 

Ma la realizzazione delle opere previste nel secondo lotto del progetto aggraverà in modo irreversibile le condizioni dei fondali dell’avamporto. 
Nel merito di quanto le nuove opere incidano sul naturale deflusso delle acque in mare si danno i seguenti approfondimenti. 

Come si diceva precedentemente, il modello utilizzato per la definizione del progetto di avamporto teneva ben conto del deflusso di portata del porto-canale in evento di piena e delle condizioni di agitazione ondosa, ma trascurava pesantemente l’analisi sulle molteplici problematiche del sistema costiero e la loro correlazione necessaria per una corretta interpretazione del sistema idro-sedimentario, fenomeni che disponevano peraltro di una ricchissima letteratura. 
Lo studio del sistema costiero è assai complesso e non può essere riempito attraverso studi prettamente settoriali come quello a monte del progetto del nuovo Porto di Pescara. Innanzi tutto oltre ai grandi fattori che entrano in gioco nell’unità fisiografica di bacino vanno valutati i fattori naturali ed antropici di piccola e media scala, classificando i caratteri completi dell’area costiera di progetto. 
Il progetto delle nuove opere che sorgeranno alla foce del fiume invece è stato composto senza nessuna delle analisi fondamentali. 
Nulla è stato prodotto riguardo: 
- l’erodibilità e la degradazione dei versanti a monte del porto-canale; 
- l’ablazione potenziale ed il calcolo del volume di materiale che può essere trasportato dal fiume; 
- le eventuali asportazioni di materiale in alveo; 
- la valutazione della portata solida del fiume; 
- la valutazione degli effetti delle opere idrauliche realizzate ed in progetto; 
- la valutazione dei fenomeni di subsidenza; 
- la valutazione in genere sull’assetto territoriale e quella sull’uso del bacino. 

“[…] La conoscenza del comportamento dei sedimenti è requisito essenziale per poter predire l’effetto di interventi antropici su un ecosistema costiero. 
Il controllo dei processi di erosione, trasporto e deposizione di questi materiali è estremamente complesso. 
Un intervento antropico nel sistema costiero che vari la distribuzione ed il trasporto dei sedimenti produce spesso un effetto nocivo su tutto il sistema. 
Non è che i progetti ingegneristici in zone di elevata torpidità delle acque abbiano prodotto variazioni a corto ed a lungo termine non solo sull’evoluzione della linea di riva ma anche sui tassi di deposizione, causando variazioni sulla produttività biologica e peggiorando la qualità delle acque […]” (Proff. Renzo Dal Cin ed Umberto Simeoni - Università degli Studi di Ferrara - Dipartimento Di Scienze Geologiche e Paleontologiche - “La conoscenza e la gestione geoambientale dell’area costiera” - AIPCN 1995). 

Ma il fenomeno degenerativo che si è osservato e che si avrà modo di osservare ancora più pesantemente nel tempo, è di riflesso il fenomeno peggiorativo per l’intera costa. 
E’ noto infatti che il materiale della spiaggia non vi risiede stabilmente, esso è destinato a rinnovarsi nel tempo in un equilibrio energetico di erosione e ripascimento dovuto a tutte le sue componenti di trasporto e deposito. 
Si riportano ancora ulteriori indicazioni che emergono dal rapporto dei due studiosi già menzionato: ”[…] L’inserimento di un porto in una unità fisiografica difficilmente risulta indolore perché la sua costruzione determinerà degli squilibri sull’area costiera che possono essere previsti e minimizzati solo con una profonda conoscenza dei fenomeni in gioco. […] 
Nel caso di nuove opere, specialmente se inserite in aree fortemente urbanizzate ed a forte vocazione turistica, bisognerà valutare attentamente l’incidenza che esse avranno sul regime di equilibrio del litorale. 
Infatti in dipendenza della componente della deriva litoranea e del bilancio sedimentario, si possono verificare anomali avanzamenti del litorale di sopraflutto ed arretramento di quelli sottoflutto. 
Ciò determina, oltre a quelle ingegneristiche, ripercussioni sull’economia dell’area; infatti l’esistenza e la qualità delle spiagge sono fattori importanti della rendita di questa zona. Mentre è immediata la comprensione dei problemi derivanti da un arretramento della linea di riva, a volte non vengono attentamente valutati i pericoli derivanti dal fenomeno opposto. 
La crescita della spiaggia sopraflutto determina un innalzamento dei fondali, che spinge il trasporto dei sedimenti lungo l’opera più al largo facilitando l’interrimento dell’imboccatura portuale e la dispersione verso mare dei materiali utili al mantenimento della spiaggia […] 
Per quanto possibile bisognerà evitare l’insediamento di aree portuali nelle zone di foci fluviali perché esse presentano i trends evolutivi della linea di riva più repentini e rapidi. Infatti lungo i litorali alimentati da apporti fluviali i fenomeni di arretramento od avanzamento della costa vengono accentuati in tempi estremamente brevi in prossimità della fonte di alimentazione, cioè nelle aree di foce”; infatti moli ubicati in prossimità “di un punto di diffusione di materiali sabbiosi e fangosi minano l’efficienza del porto stesso favorendo gli interrimenti dell’imboccatura e del bacino portuale”. 

Per contro ecco quali erano le considerazioni scientifiche alla base della soluzione scelta per la progettazione delle opere di avamporto di Pescara. 
Si riportano integralmente le valutazioni emerse dallo studio di modello per la soluzione prescelta (soluzione 4 del modello): 
“[…] Per ovviare all’inconveniente registrato con la precedente soluzione (soluzione 3 del modello – valori di altezza d’onda molto elevati in corrispondenza dell’imboccatura Est) si è modificato il molo radicato al molo turistico evitando le possibili concentrazioni di energia e prevedendo due banchine per assicurare una molteplicità di manovre e attracco di traghetti in funzione delle diverse condizioni meteo-marine. Le condizioni di agitazione rilevate con questa soluzione nell’imboccatura, nell’avamporto, lungo le banchine, nel porto-canale e nel bacino interno sono risultate molto ridotte per tutte le condizioni provate. I massimi valori di altezza significativa nel bacino interno non hanno superato 0,10 metri. Mentre nel canale non si sono superati 0,60 metri. Anche lungo le due nuove banchine le altezze d’onda sono molto contenute ed il valore massimo d’altezza d’onda, pari a 0,46 metri, si è ottenuto nel corso di prove condotte con il moto ondoso policromatico proveniente da Nord-Est e caratterizzato da un’altezza d’onda significativa al largo di 2,50 metri. La configurazione è risultata senz’altro la migliore tra quelle provate in quanto in grado di assicurare condizioni di accesso e di attracco in sicurezza dei tre vettori (pescherecci, navi traghetto e commerciali) che utilizzano il Porto di Pescara […]”. 
Il commento è assai semplice: i progettisti dicono che chiudendo il porto in pratica da tutte le direzioni le acque risultano calme, dimenticandosi che su quel porto c’è la foce di un fiume. 
E’ questo il modo di elaborare un progetto di una nuova opera portuale? 
Ma le opere progettate, si dice, possono proteggere l’avamporto anche da una grande onda di piena ed in contemporaneo con condizioni di macroscopiche portate del fiume come quella dell’Aprile 1992. 
Si può confermare che un bacino così ”trincerato” sarebbe anche in grado di difendere una forza del mare ancora più ingente ma che però non ha nessuna condizione idraulica per essere definito porto, in quanto destinato ad interrarsi. 
E questo era già sostenuto dal prof. Giuseppe Matteotti nella relazione del dicembre 1999 in merito all’”Esame dell’influenza della progettata opera di difesa all’esterno e in destra del fiume Pescara sulla disposizione delle acque dolci scaricate a mare dal fiume”. 

Anche se il tema strettamente portuale non era in oggetto dell’incarico, già nell’introduzione il professore Matteotti scriveva: 
”[…] la diga foranea, posta a protezione dell’imboccatura del porto-canale, ostacola la diffusione verso il largo del deflusso fociale, costringendo la dispersione dell’acqua dolce (commento: si legga sedimenti) nella direzione Est-Ovest parallela al litorale. Questa limitazione potrebbe essere accentuata dalla costruzione della nuova banchina in progetto e che, per effetto del suo posizionamento, riduce la possibilità di deflusso verso Est […]”. Ma ancora il grande tecnico sottolineava: “[…] Inoltre visto il restringimento dell’apertura a mare ad Est della foce è da prevedere un incremento dalle velocità locali durante le mareggiate del primo quadrante […]”. 

Con queste poche parole si evidenziavano anche possibili effetti di stabilità statica delle opere costruende. 
Si tratta di un’ipotesi che qualsiasi funzionario pubblico sarebbe portato a verificare attraverso un’attenta analisi di rischio. 
Non risulta che nessun studio in merito sia stato avviato. 
Ma anche qualora non si voglia interpretare quanto scrive il professor Matteotti (sono comunque suggerimenti che rilevano quanto importanti sarebbero ulteriori studi approfonditi) e ci si attenga ai soli dati emersi dallo studio, appare con forza il quadro della diminuzione delle concentrazioni saline nella zona ad Ovest della foce e quindi la conseguente alterazione della qualità delle acque soprattutto per la balneazione. 
Il fenomeno riscontrato della diminuzione della salinità delle acque non può avere altro significato che uno straordinario apporto di sedimenti del fiume, impediti nella loro corsa verso il mare aperto, dall’opera foranea. 
Lo studio evidenzia l’ostacolo al deflusso delle portate del fiume imposto dalla diga foranea in presenza di eventi di Levante e di Scirocco come pure quelli senza moto ondoso e conclude, riproducendo il concetto già esposto nell’introduzione, che vi è un generale incremento del rischio di instabilità delle opere marittime per fenomeni di erosione al piede. Il suo rispetto per gli uffici dello Stato non lo porta a dire esplicitamente che si tratta di un progetto profondamente sbagliato, pericoloso ed assai dannoso per l’intera economia costiera. 

Infine si accenna ad un elemento divertente (se non fosse in gioco l’avvenire di un’intera comunità). 
Il paradosso è che il modello del porto progettato dal Genio Civile OO. MM. è normalmente documentato nei testi scientifici quale caso ove è stato necessario impiegare sistemi artificiali di trasferimento della sabbia, in quanto l’accumulo di materiale nella zona di sopraflutto a lungo andare ha finito per interrare anche l’area navigabile che si voleva protetta dall’insabbiamento! 
Si riporta integralmente la figura successiva, estratta dal testo del prof. Ugo Tomasicchio “Manuale di ingegneria portuale e costiera”. La diga foranea di Pescara ricorda fortemente il “tipo 2” rappresentato con l’aggravante della presenza del fiume.


Fig. 1 – Illustrazione tratta da “Manuale di ingegneria portuale e costiera”
del prof. Ugo Tomasicchio



Il traffico marittimo del sistema portuale abruzzese.

I porti ubicati lungo la costa del medio-basso Adriatico, seppur numerosi e complessivamente dotati di un discreto livello di infrastrutturazione, non rivestono un peso rilevante nell’economia marittima nazionale. 
Il traffico complessivo dei porti abruzzesi, molisani e pugliesi sino a Bari, si attesta attorno ai 2,5 milioni di tonnellate (con consistenti oscillazioni annuali) ed occupa sul complessivo nazionale un valore residuale. 
Riprova di ciò è che il Conto Nazionale dei Trasporti 1998 in riferimento al movimento merci-passeggeri in navigazione internazionale e di cabotaggio per regione (1996) evidenzia per la regione Abruzzo un movimento merci di 1,939 milioni di tonnellate ed un movimento passeggeri di 34.000 unità, mentre per la regione Molise un movimento merci di 455.000 tonnellate ed un movimento passeggeri di 186.000 unità dovuto in particolare al rapporto Termoli-Isole Tremiti. 
Le due regioni insieme coprono lo 0,54% del traffico merci complessivo nazionale e lo 0,39% del traffico passeggeri. 
Per quanto riguarda i principali porti d’Abruzzo (Pescara, Ortona e Vasto) il Conto Nazionale dei Trasporti indica che si tratta di infrastrutture modeste nel panorama nazionale; i tre porti sono dotati complessivamente di 18 accosti per merci secche e passeggeri, per complessivi 4.035 metri lineari di banchina e 236.054 mq di superficie a piazzale, oltre ad ulteriori 3 accosti per prodotti petroliferi per 937 metri lineari di banchina. 
Riguardo le singole infrastrutture è distinta la seguente dotazione:
porto di Pescara: accosti merce secche e passeggeri n. - ; sviluppo accosti merci e passeggeri ml - ; estensione piazzali mq 15.000 ; accosti per prodotti petroliferi n. 1 ; sviluppo accosti per prodotti petroliferi ml 350 ; fondali: da - 3,40 m a - 5,00 m.

Si evidenzia come il Conto Nazionale dei Trasporti consideri la banchina del Porto di Pescara esclusivamente dedita al traffico petrolifero non caratterizzando le strutture per quanto attiene ai traffici portuali commerciali. 
Il Porto di Pescara nell’anno 1998 ha registrato un traffico merceologico complessivo di 281.649 tonnellate allo sbarco e di 36.137 tonnellate all’imbarco; nel 1999 le merci scaricate sono state 268.825 tonnellate con una flessione pari al 4,6%, mentre quelle imbarcate sono state 29.293 tonnellate con una flessione pari al 18,9%. 
Il movimento dei passeggeri è stato nel 1998 di 11.362 unità all’imbarco e di 12.503 unità allo sbarco; nel 1999 il movimento passeggeri è diminuito sia all’imbarco che allo sbarco, registrando 8.401 (- 26,1%) passeggeri imbarcati e 8.797 (- 29,6%) passeggeri sbarcati. Per quanto riguarda la tipologia delle merci appare che gli oli minerali (olio combustibile e gasolio), presenti solo allo sbarco, ammontano nel 1998 a 103.587 tonnellate (circa il 32,6% del traffico complessivo) e nel 1999 a 103.552 tonnellate (circa il 34,7% del traffico complessivo). Quali merceologie di tipo commerciale si distinguono due tipologie di prodotti, uno allo sbarco, costituito dal movimento di sale e salgemma per 99.988 tonnellate nel 1998 e 90.217 tonnellate nel 1999, l’altro all’imbarco, costituito dal cemento per 30.685 tonnellate e 20.755 tonnellate nel 1999. 

Come si vede da questi pochi dati il Porto di Pescara risulta solo di servizio ad alcune attività industriale di interesse locale. 
Va detto inoltre che la sua principale attività, legata all’approvvigionamento degli oli minerali per il deposito Di Properzio, andrà in prospettiva annullandosi in quanto lo stabilimento ha già una forte ipotesi di consolidamento. 
La comunità civile pescarese auspica ancora il ritorno del traffico passeggeri attivato a suo tempo dalla motonave Tiziano con le coste della ex Jugoslavia. 
Tale traffico registrò il suo apice nel 1987 con la presenza di 77.313 passeggeri ed andò progressivamente declinando a partire dall’anno 1990 a causa degli eventi bellici conosciuti. 
Considerando che la flessione dei traffici è stata progressiva (in un ventennio il Poto di Pescara ha perso circa il 15% del traffico, da un movimento nel 1980 di 349.053 tonnellate a 298.188 tonnellate nel 1999) pur in presenza di un vertiginoso sviluppo di molti porti italiani, è da prevedersi presto la sua riclassificazione a porto di interesse regionale. 
Attualmente il traffico del Porto di Pescara sia merci che passeggeri non appare nelle principali statistiche ufficiali del Ministero dei Trasporti e della Navigazione.

Porto di Ortona accosti merci secche e passeggeri n. 11 ; sviluppo accosti merci e passeggeri ml 2545 ; estensioni piazzali mq 168.554 ; accosti per prodotti petroliferi n. 2 ; sviluppo accosti petroliferi ml 587 ; fondali: - 5,50 ml.
Ortona ha registrato nel 1998 un traffico complessivo di 1.262.999 tonnellate, di cui 1.142.908 tonnellate allo sbarco e 120.091 tonnellate all’imbarco; nel 1999 il traffico complessivo è stato di 1.284.517 tonnellate di cui 1.180.106 tonnellate allo sbarco con un incremento del 3,2% e 104.411 tonnellate all’imbarco con una flessione del 13,1%. 
Il traffico degli oli minerali è stato nel 1998 di 952.930 tonnellate pari al 75,4% del traffico complessivo e nel 1999 di 922.635 tonnellate pari al 71,8% del traffico complessivo. 
Le voci principali delle altre merci sbarcate riguardano la salgemma, i feldspati, il grano, le argille, il fosfato d’ammonio e il cemento, mentre negli imbarchi sono prevalenti le voci relative al pietrame, ai pannelli in cartongesso, ai tubi ed allo zucchero. 
Il Porto di Ortona si caratterizza per l’estrema varietà della merce trattata anche se ancora per quantitativi modesti. 
Registra altresì la presenza di un modesto movimento di passeggeri: nel 1998 di 1.649 unità allo sbarco e di 1.645 unità all’imbarco, nel 1999 di 1.167 unità allo sbarco e di 1.193 unità all’imbarco. 
Il Porto di Ortona in unione con il Porto di Vasto è ritenuto il porto commerciale naturale della regione Abruzzo in particolare per la sue enormi potenzialità di sviluppo in disponibilità di banchine e di spazi portuali seppur attualmente condizionate dal pescaggio inadeguato e dalla limitat adeguatezza dei collegamenti retroportuali.

Porto di Vasto: accosti merci secche e passeggeri n. 7; sviluppo accosti merci e passeggeri ml 1.490; estensioni piazzali mq 52.500; accosti per prodotti petroliferi n.-; sviluppo accosti per prodotti petroliferi ml -; fondali: - 6,60 ml.
Il Porto di Vasto ha registrato un movimento, a prescindere da quello di petrolio greggio prodotto in mare aperto dalla piattaforma Rospomare, nel 1998 di 346.014 tonnellate e nel 1999 di 439.414 tonnellate (con incremento del 27%). 
Le merci principali trattate sono rappresentate dalle argille, dai coils, dal fosfato di calcio, dal fosfato d’ammonio, dal legname, dal melasso e polpa di barbabietola. 
Come il Porto di Ortona si caratterizza per le numerose merceologie trattate e per il servizio reso alle industrie del retroterra.

L’immagine che emerge attraverso questi brevi cenni è quella di una estrema condizione di debolezza del sistema portuale abruzzese. 
Ne vanno comprese la ragioni, in particolare a seguito del rilevante positivo sconvolgimento della portualità italiana (a partire dalla seconda metà degli anni ’90) caratterizzato dall’imporsi del processo di globalizzazione nell’economia marittima che ha portato ad un aumento vertiginoso i volumi di interscambio alla distanza sia per le materie prime che per i semilavorati e di prodotti finiti ad alto valore aggiunto. 
Vi sono ragioni di natura storica e geografica per le quali la portualità abruzzese non ha mai avuto un peso rilevante nell’economia marittima nazionale. 
La fascia costiera abruzzese, caratterizzata da una modesta estensione del retroterra fisico, non ha accolto grandi industrie di base localizzate nei porti e la diffusione territoriale dell’industria manifatturiera ha visto produzioni per lo più rivolte al mercato interno e comunque idonee all’uso dei soli mezzi terrestri in particolare del trasporto gommato. 
Le strategie localizzative dell’industria non hanno determinato la formazione di poli fondati sull’industria di base, sia per la maggior distanza dalle principali rotte mediterranee delle materia prime, sia per gli orientamenti assunti nelle sedi locali tendenti a privilegiare una multipolarizzazione capace di attrarre medie e grandi attività esogene e favorire la piccola imprenditorialità endogena, entrambe nei comparti manifatturieri. 
Inoltre i porti abruzzesi non hanno mai offerto le condizioni essenziali né per la localizzazione dell’industria pesante né per l’espansione di un mercato commerciale marittimo; è nota infatti l’estrema carenza di fondali, nella dotazione negli spazi portuali, per altro molto condizionati dall’espansione indiscriminata delle zone urbane, in terminali specializzati e nei collegamenti terrestri.

Si tratta oggi di corrispondere alle grandi trasformazioni in atto nell’economia marittima. La nuova centralità del mare Mediterraneo rispetto ai grandi scali del Nord Europa appare immediatamente dalla lettura dei dati statistici: se nei primi anni ’90 i porti del mar Mediterraneo movimentavano un po’ più del 20% delle merci trasportate via mare in Europa, oggi il dato si attesta attorno al 40%. 
La diffusione del container, unitizzando i carichi, ha abbattuto i costi di manipolazione portuale ed ha innescato un processo di gigantismo delle navi permettendo minori costi unitari e quindi l’approvvigionamento delle merci anche in quantitativi ridotti a distanza di migliaia di chilometri. 
Il bacino mediterraneo rappresenta per i mercati dell’estremo Oriente un risparmio nelle rotte verso l’Europa di 2.000 miglia rispetto i porti del Nord Europa. Il recupero di efficienza dei porti mediterranei e la realizzazione di scali adatti a servire le grandi navi di ultima generazione, ha generato enormi convenienze per le compagnie di navigazione che dispongono delle rotte giramondo e sui collegamenti intercontinentali. 
Il traffico container 1998 nei porti italiani di oltre 5.900.000 teu’s si è ripartito per il 52,9% nei porti tirrenici, il 36% sul porto di transhipment di Gioia Tauro, per il 10% sui porti adriatici e per l’1,1% nei porti insulari. 
Emerge la particolare fragilità del sistema dei porti adriatici rispetto a quelli tirrenici. 
Nella prospettiva di un nuovo terminal di transhipment di Taranto, la competizione sulle ulteriori opportunità sarà tutta giocata dai porti dell’Alto Adriatico (Trieste, Venezia, Ravenna) che dispongono ancora di elevata capacità ricettiva e dei collegamenti infrastrutturali necessari alla connessione con i mercati europei centro-orientali. L’esclusività del traffico marittimo dei contenitori, pressoché integralmente gestito da operatori privati (compagnie marittime) di rilievo internazionale che dispongono di proprie linee, banchine e terminalisti che offrono il servizio terrestre ed operatori intermodali, permette di escludere l’ipotesi di un divenire consistente per tale traffico in altri porti del basso Adriatico. 
Il mercato dei traffici marittimi non unitizzati riguarda imprese specializzate le cui scelte di localizzazione seguono criteri interni alle filiere produttive particolari (prodotti agroindustriali, forestali, deperibili, chimici, metallurgici, veicoli, energia). All’interno delle singole filiere si formano delle reti di porti specializzati per i quali, in fase di sviluppo, la merce rappresenta la specializzazione in ambito nazionale e regionale. 
Un porto può diventare un nodo importante di più filiere logistiche o specializzarsi in una sola. Le trasformazioni dell’assetto industriale del Paese ed i mutamenti della produzione hanno portato ad una contrazione dei traffici derivanti da localizzazioni industriali pesanti (siderurgia e petrolchimico) collegate ai porti. 
Le industrie localizzate negli hinterland si servono ancora consistentemente dei porti per l’importazione di materia prima e semilavorati. 
In questo ambito gli interlocutori principali sono i gestori della logistica delle imprese industriali. Il successo dei porti abruzzesi potrà essere solo direttamente connesso al processo di una nuova industrializzazione del territorio. 
Il traffico ro-ro occuperà un peso rilevante nella specializzazione dei porti e nell’integrazione logistica con le imprese industriali. Esso richiede la costruzione di terminal attrezzati per le operazioni di imbarco e sbarco, spazi di sosta molto ampi e collegamenti interportuali adeguati onde evitare congestionamento di traffico negli ambiti portuali ed urbani. 
Tale traffico potrà essere agevolmente affrontato dal sistema portuale Ortona-Vasto, che dispone di tutte le dotazioni necessarie alla funzionalità del movimento di traghetti, soprattutto nelle relazioni di cabotaggio con i paesi balcanici e quelli del bacino del Mediterraneo orientale. 
A fronte di questa autentica sfida per il consolidamento di una portualità abruzzese, non può più essere allontanata la scelta di rafforzamento degli scali naturali di Ortona e Vasto, afflitti anche da un assurdo sistema concorrenziale di tipo localistico alimentato da finanziamenti “a pioggia”. 
In proposito si rammenta anche l’importante tema introdotto dal “Libro Verde sui porti e sulle infrastrutture marittime” dell’Unione Europea. 
Nel nuovo scenario europeo i porti sono considerati sempre più come entità commerciali che dovrebbero coprire interamente i loro costi dagli utenti che ne traggono direttamente i benefici. 
Fino ad oggi le infrastrutture sono state considerate dagli Stati membri alla pari di un bene pubblico e quindi finanziate con risorse provenienti dalla collettività. 
L’Italia, alla pari di molti Stati mediterranei, sconta oggi un deficit di infrastrutture che deriva proprio da minori investimenti statali concentrati rispetto ai porti degli Stati del Nord Europa. 
Per competere alla pari con questi porti è necessario un riallineamento strutturale che deve avvenire in minor tempo possibile per almeno due ordini di motivi: 
a) mantenimento delle posizioni conquistate in termini di traffico ed affidabilità negli ultimi anni; 
b) futuro divieto o drastica limitazione del finanziamento pubblico alle opere strutturali da parte dell’Unione Europea. 
Tale indirizzo porterà ad una politica di finanziamento mirata che vedrà la specializzazione ed il potenziamento dei porti maggiori.
Tornando al porto-canale di Pescara, con la realizzazione del secondo lotto delle opere previste, si vorrebbe candidarlo a porto primario commerciale del sistema portuale dell’Abruzzo; infatti, come si evince da tutte le relazioni descrittive del progetto, le banchine interne poste a ridosso del nuovo molo dell’avamporto sarebbero destinate ad accogliere il traffico delle navi ro-ro. 
Come si rammenta, nella relazione di accompagnamento al progetto si dice altresì che il porto punta al rilancio del cabotaggio attraverso una nuova potenzialità della banchina lineare oggi esistente, con nuovi investimenti per la dotazione di mezzi meccanici di sollevamento. 
Il rafforzamento della portualità commerciale a Pescara risulta invece, nella logica dell’economia marittima, un macroscopico errore di programmazione per di più aggravato da un vetusto disegno di progetto che non può offrire alcun futuro allo sviluppo dei traffici. Per prima cosa le due nuove banchine commerciali nell’avamporto infatti non dispongono di piazzali retrostanti di dimensione idonea ad accogliere lo stazionamento dei mezzi gommati se contemporaneamente vanno offerte possibilità per il deposito e lo stoccaggio delle merci. 
Un modesto piazzale di circa 11.000 mq dovrebbe accogliere l’intero traffico commerciale che si sviluppa dalle due banchine ortogonali in quanto la banchina attestata al molo Sud ha una lunghezza di soli 30 metri appena sufficiente al percorso sui due sensi del traffico camionabile. 
Risulta drammatica la previsione della via d’accesso al nuovo porto, da allestire nello spazio di 16,50 metri destinati nel molo Sud a tale servizio. 
Il sistema di accessibilità danneggerebbe innanzi tutto il porto turistico per la produzione di inquinamento dell’aria attraverso il gas di scarico e di rumore. 
L’immagine di lunghe file di autoarticolati provenienti e diretti al porto dalla sopraelevata costituirebbe per altro un fortissimo impatto ambientale sul paesaggio marino di Pescara. 
Le valutazioni sull’impatto ambientale dell’opera andavano accuratamente approfondite considerato che il voto del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici rinviava al parere di competenza del Ministero dell’Ambiente. 
Ma il Genio Civile OO. MM. nell’euforia ingegneristica ha disatteso il parere dell’organo superiore. 
La soluzione preventivata escluderebbe la possibilità di utilizzo ricreativo del molo Sud, annullando la grande opportunità della riconsegna del waterfront alla città e producendo per altro un rilevante condizionamento al progetto di recupero della zona dell’attuale mercato ortofrutticolo. 
Analoghe considerazioni possono essere formulate nei riguardi dell’esistente banchina commerciale che non ha cercato vocazione ad un incremento del traffico marittimo ma che invece potrebbe essere idoneamente utilizzata per consolidare e razionalizzare il porto peschereccio. 
Si tratta di un progetto sbagliato per un progetto sbagliato; e che il progetto contenga errori grossolani si può notare non solo da ciò che ha causato e causerà sull’equilibrio idraulico, ma sempre dal voto del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che ricorda ai progettisti che “ai fini delle possibilità di attracco contemporaneo di due traghetti è necessaria la realizzazione di un dente di attracco nell’angolo costituito dalle linee delle due banchine”. Si tratta di un porto che, se realizzato, andrebbe ad ostacolare lo sviluppo razionale e di interesse per l’intera comunità abruzzese di un sistema portuale in Abruzzo, incentrato sui porti di Ortona e Vasto. 
Riguardo la possibilità ad essere valorizzato esclusivamente come scalo passeggeri preventivamente alle considerazioni che saranno svolte di seguito sullo sviluppo di tale traffico nell’Adriatico, va immediatamente introdotta la valutazione che il traffico passeggeri così come previsto dal progetto non è esclusivo, ma consiste in quello attivabile dai traghetti che, come è noto, sono navi per vocazione, oltre alle automobili, portano anche mezzi pesanti; né è possibile alcuna discriminazione. 
Ma quali fattori di competitività portuale potrà mai avere Pescara nell’impetuoso divenire della nuova economia marittima? 
Possiamo misurare la prospettata competitività del Porto di Pescara commentandone i diversi indicatori. 
Riguardo il contesto geo-economico del porto, primo indicatore, emerge come non vi siano rotte marittime che privilegiano il Porto di Pescara né direttamente né come diversione da rotte principali. 
Si rileva altresì che il Porto di Pescara non ha un hinterland produttivo tale da richiedere un rafforzamento dei mercati marittimi, tutt’al più l’economia regionale utilizza i porti di Ortona e Vasto. 
La struttura del modello istituzionale organizzativo è il secondo indicatore di competitività. Pescara non ha un ente di gestione né alcun soggetto pubblico in grado di approcciarsi alle grandi trasformazioni dei mercati marittimi. Non può esistere un sistema di promozione del porto neppure di tipo minore in quanto lo scalo non ha alcuna caratteristica di appetibilità per gli operatori. 
Venendo al terzo indicatore di competitività costituito dall’offerta infrastrutturale, emerge come le caratteristiche infrastrutturali marittime siano del tutto inadeguate anche attraverso il completamento delle opere portuali previste, per l’insuperabile condizionamento dei fondali e delle zone retroportuali. 
Se anche fosse possibile il prolungamento dell’asse industriale per collegare il porto al grande sistema viario (con tragiche ulteriori ripercussioni sul sistema ambientale urbano), lo scalo non avrebbe la possibilità di essere connesso alla rete ferroviaria. 
D’altra parte lo stato della pianificazione non prevede il rafforzamento degli assi di collegamento portuale menzionati.
In particolare per quanto attiene agli strumenti di pianificazione, non è stato redatto un Piano Regolatore Portuale (che secondo legge deve essere adottato d’intesa con il Comune di Pescara) in grado di rimodellare il complesso delle attività portuali in accordo con i sistemi produttivi, insediativi ed ambientali. 
Sul quarto indicatore di competitività, rappresentato dai sistemi di supporto al porto, non occorre un esame accurato per notare che attorno all’economia portuale non è stata sviluppata alcuna attività di marketing, né di formazione portuale vera e propria e che è assente qualsiasi struttura avanzata di gestione delle informazioni. 
Riguardo poi all’offerta di servizi, quinto parametro da osservare, il Porto di Pescara non presenta alcun “terminal operator” né una struttura del lavoro portuale seppur modesta e sono assenti altresì specifici operatori dell’indotto.
L’ultimo indicatore, che è quello del traffico, offre un’immagine di totale povertà sia per valore complessivo delle merci trattate che per il mix merceologico, sia infine per l’ampiezza dei mercati serviti.
 In definitiva il Porto di Pescara non potrà mai raggiungere un adeguato livello di competitività portuale per le profonde limitazioni sui parametri strutturali del modello istituzionale organizzativo e del piano di infrastrutturazione, neppure per un “range”di servizi limitato e dimensionato sulle necessità almeno del sistema economico locale.

Gli indirizzi di programmazione sul sistema portuale abruzzese.

Il progetto comunitario del “Corridoio Adriatico” è obiettivo strategico delle regioni adriatiche per il disegno di uno scenario fattibile ed economicamente sostenibile per il miglioramento dei servizi lungo l’asse adriatico. Il progetto auspica un inquadramento della portualità adriatica in una logica di sistema selezionando e specializzando i nodi portuali esistenti. 
A fronte della costruzione di un quadro delle potenziali relazioni marittime con i paesi del Sud-Est Mediterraneo e con i paesi balcanici, nonché di quelle terrestri con l’Austria ed i paesi Nord-europei, il progetto opererà una rigorosa selezione delle priorità di intervento relative ai potenziamenti delle comunicazioni del corridoio sulla direttrice Nord-Sud puntando al potenziamento ferroviario ed al contemporaneo riequilibrio della modalità su gomma oltre chiaramente ad un sistema articolato di intermodalità attuabile nella connessione tra porti ed interporti. 

A conclusione della fase di fattibilità, lo studio del Corridoio Adriatico, rilevando la centralità del trasporto via acqua per il successo nel quadro comunitario del grande itinerario verticale, identifica per il “Progetto portualità ed idrovie” un sistema portuale di prima funzionalità entro il 2005 (P.P.1) ed un sistema di potenziamento entro il 2005 (P.P.2), dove a pieno titolo rientrano gli interventi di sviluppo della portualità del medio-basso Adriatico. 
In particolare per quanto attiene le regioni Abruzzo e Molise, vengono identificati due porti di interesse nazionale: Vasto-Ortona e Termoli. Significativa è l’identificazione del sistema portuale abruzzese che è rappresentato dai due maggiori porti in una visione unica di complementarietà, ovvero nello scenario internazionale del Corridoio Adriatico l’economia marittima abruzzese può trovare futuro soltanto in una logica di sistema portuale.

Il potenziamento avverrà secondo le direttrici seguenti: 
a) P.P.1: Ortona-Vasto: l’obiettivo è il potenziamento delle infrastrutture retroportuali e delle aree operative sia di Ortona che di Vasto e dei collegamenti stradali del porto di Vasto; Termoli: saranno completati tutti gli interventi propedeutici relativi alla connessione con il polo interportuale; 
b) P.P.2: Ortona-Vasto: si riconosce la necessità di un ulteriore potenziamento dei collegamenti ferroviari; Termoli: si prevede la realizzazione del nuovo porto-canale nell’ambito di Termoli. La scelta documenta la riconosciuta necessità di potenziamento della portualità del medio-basso Adriatico a sostegno del disegno comunitario di corridoio. 
Gli scali in questione fanno parte dell’opzione strategica del prodotto porti-idrovie, che si rammenta, è così composto:
 - un porto di valenza di “transhipment hub” (Taranto); 
- sette porti di valenza internazionale, europea e nazionale (Trieste, Monfalcone, Venezia, Ravenna, Ancona, Bari e Brindisi); 
- un porto marittimo e fluvio-marittimo (Chioggia); 
- tre porti di interesse nazionale (Ortona-Vasto, Termoli e Manfredonia); 
- il fiume Po e le idrovie delle regioni Emilia Romagna e Veneto; 
- tre porti fluviali (Pontelagoscuro, Pieve Saliceto e Rovigo). 
Si rammenta altresì che il progetto così composto, a conclusione dell’analisi multi-obiettivo, occupa la posizione di massima priorità. 
E ancora introduce le seguenti considerazioni. Il Porto di Ortona viene considerato in ragione al contributo che può portare per lo sviluppo economico delle zone di insediamento circoscritte all’immediato ambito locale. Porto attivo nel settore della pesca e del diporto ha già un traffico merci di indirizzo regionale che alimenta le attività produttive locali. 
Il porto potrebbe essere destinato all’insediamento di linee transadriatiche a breve distanza per passeggeri da gestire con mezzi veloci di ridotta dimensione. 
Entro il 2005 il Porto di Ortona sarà potenziato tramite il banchinamento della diga foranea, l’escavo dei fondali e la stazione marittima. 
Il Porto di Vasto è già assimilato ad un porto di interesse primario di carattere regionale. 
Il suo movimento, a prescindere da quello di petrolio greggio prodotto in mare aperto dalla piattaforma Rospomare, supera le 200.000 e le 300.000 tonnellate/anno. 
Vasto è considerato per uno sviluppo portuale al servizio della crescita industriale della zona retroportuale, significativa anche a livello nazionale. 
Nel Quadro di Riferimento Regionale (Q.R.R.), tra gli obiettivi e le strategie territoriali, evidenziate quali azioni atte allo sviluppo complessivo del sistema regionali e miranti da una parte a sanare gli attuali squilibri e dall’altra a favorire una nuova politica per il settore produttivo e l’efficienza dei sistemi urbani, entra quale obiettivo specifico per il “Corridoio Adriatico”. 
Il documento regionale nota che nello specifico “la Regione Abruzzo ha una congiuntura favorevole”; in particolare evidenzia la posizione strategica dell’area Chieti-Pescra quale città di accesso nel Corridoio Adriatico, in connessione con il Corridoio Tirrenico e con i paesi balcanici. 
Le azioni strategiche a supporto del Corridoio Adriatico e delle sue trasversali sono individuate in quelle che mirano a diminuire la mobilità di gomma a vantaggio di quelle su rotaie, marittime ed aeree. 
Le azioni principali individuate pertanto sono quelle relative al potenziamento dell’aeroporto di Pescara, la realizzazione dell’interporto Chieti-Pescara, del centro merci dell’area di Vasto, degli autoporti nella Marsica e nel teramano, la razionalizzazione ed il potenziamento della portualità esistente, il raddoppio della linea ferroviaria Pescara-Carsoli e della linea Pescara-Bari, oltre alla fluidificazione della A14. 
In questo rapporto ci interessa dilungarci su ulteriori due obiettivi specifici evidenziati nel Q.R.R. 
Il primo riguarda l’obiettivo specifico (sistemi insediativi) del sistema urbano Chieti-Pescara che evidenzia con chiarezza le reali necessità dell’area metropolitana, basate su:
- il potenziamento dell’aeroporto; 
- la razionalizzazione del porto-canale ed il completamento della struttura a terra del porto turistico; 
- il completamento dell’interporto in connessione con la viabilità principale; 
- il completamento della circonvallazione con Ortona; 
- la realizzazione degli accessi nell’area snodo di Citta Sant’Angelo; 
- il potenziamento del Porto di Ortona e la realizzazione di un’accessibilità efficiente. 

In tale obiettivo specifico il Q.R.R. formula alcune ipotesi di adeguamento del fiume Pescara di estremo interesse: “ […] Il fiume Pescara rappresenta l’asta fluviale centrale del sistema portuale, l’asse di riorganizzazione mediano dell’intero sistema su cui si articolano i differenti tematismi: la piazza d’acqua nel centro della città di Pescara, la riorganizzazione delle banchine del porto peschereccio, l’adeguamento delle infrastrutture di servizio all’attività produttiva, i giardini urbani per favorire la riqualificazione di quartieri urbani con elevato grado di livello sociale ed urbanistico, il risanamento dell’ex-discarica e la valorizzazione di Fosso Grande, le attrezzature sportive di basso impatto ambientale nel Comune di Spoltore e l’integrazione dell’ippodromo di San Giovanni con il contesto, il parco centrale dell’area metropolitana per la riqualificazione di Chieti Scalo […]”. 
Il secondo obiettivo è quello attinente il potenziamento delle “infrastrutture di accesso di lunga distanza” (aeroporto “Liberi” di Pescara, interporti, centri merci, autoporti e portualità). 
Riguardo la razionalizzazione ed il potenziamento della portualità il Q.R.R. recita: “[…] Il concetto di sistema portuale implica una stretta integrazione funzionale trai i diversi scali marittimi ognuno dei quali deve tendere alla specializzazione in determinati comparti. 
In quest’ottica va chiarito il ruolo di Giulianova come porto peschereccio, di Pescara come porto passeggeri e, con il nuovo Marina, per diporto nautico. 
Mentre per il movimento merci, fermo restando che la portualità commerciale deve inserirsi nel più ampio contesto nazionale, ed in particolare adriatico, le vocazioni sembrano indicare gli scali meridionali di Ortona e Punta Penna (Vasto), sia per le opere esistenti ed in fase di progettazione e/o attuazione, sia in quanto su di essi gravitano le aree industriali maggiormente suscettibili di esprimere domanda di servizi portuali […]”. 

La Regione Abruzzo, pur nelle cautele sollecitate palesemente da spinte localistiche, prevede per il futuro del Porto di Pescara la sola funzione di scalo passeggeri che, se messa in relazione al programma di valorizzazione ambientale tracciato per il fiume, significa sviluppo di un “target” più alto della sua funzione turistica. 
Comunque le scelte strategiche di programmazione inerenti alla portualità abruzzese sono ben chiare: “ […] La legge 84/94, nel riclassificare tutta la portualità italiana, ha ricollocato i porti abruzzesi in una dimensione regionale […] Questa riclassificazione fotografa impietosamente le debolezze strutturali di questo importante comparto, una debolezza dovuta sia ai gracili processi di sviluppo del passato, sia ad una assoluta mancanza di programmazione […] Questo governo regionale ha voluto da subito precisare fino in fondo l’esigenza di specializzazione del nostro sistema portuale […] Punto di forza nella visione della Giunta è il porto di Ortona per quanto attiene alle esigenze commerciali ed individuali, sia per la posizione baricentrica lungo la costa abruzzese, sia per alcune importanti caratteristiche tecniche, sia per il legame da realizzare con l’altra struttura portante nella movimentazione merci che è l’interporto della Val Pescara […]” (Conferenza Regionale sui Trasporti – Montesilvano; 15 Ottobre 1997 – Relazione dell’assessore regionale M. Verticelli). 
Il Ministero dei Trasporti e della Navigazione ha in corso di redazione il nuovo Piano Generale dei Trasporti ; già dai primi documenti preparatori divulgati si evince quale politica sarà adottata per il settore della portualità italiana. 
Si sono certamente già ipotizzate alcune linee giuda necessarie al raggiungimento di obiettivi strategici per il settore della portualità che possono riassumersi nei seguenti atti : - promozione della realizzazione dei sistemi portuali basati sull’analisi della domanda di trasporto attuale e futura ai fini del conseguimento di maggiori economie di scala e dello sviluppo della complementarietà funzionale tra i porti; 
- promozione di interventi di progettazione e realizzazione di una rete efficiente di terminal di cabotaggio per lo sviluppo del trasporto marittimo in alternativa al trasporto interno ed al trasporto stradale tra Paesi dell’Unione Europea; 
- sviluppo di una normativa per la valorizzazione del trasporto via mare delle merci pericolose in alternativa al trasporto su gomma e conseguenti interventi nelle aree portuali per l’accoglienza e lo smistamento di tali merci; 
- potenziamento delle connessioni porto/territorio con particolare attenzione alle funzioni dei Corridoi Adriatico e Tirrenico; 
- elaborazione di un progetto di connessione e collaborazione tra i porti dei due versanti del bacino adriatico ed ionico sia per il trasporto in container ma soprattutto per le ro-ro; - interventi ed adeguamento delle sagome e linee ferroviarie alle caratteristiche dei maggiori itinerari europei per consentire il trasporto di carichi unitizzati di maggiori dimensioni nei mercati nazionali ed esteri; 
- interventi di completamento e potenziamento strutturale dei nodi di transhipment meridionali esistenti: porti di Gioia Tauro, Taranto e Cagliari.

Criteri innovativi saranno adottati per la ripartizione delle risorse dello Stato, intervenendo prioritariamente alla rimodulazione del criterio di classificazione dei porti attribuendo ruolo primario ai porti che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche: a) presenza dell’Autorità Portuale b) elevato grado di specializzazione per tipologie di traffico; c) rilevante entità dei traffici ad elevato valore aggiunto; d) funzione di collegamento con la Sicilia e la Sardegna. 
Si terrà altresì conto delle caratteristiche dei porti emerse nella recente fase di sviluppo del sistema portuale italiano mirando a politiche di indirizzo e programmazione capaci di prevenire squilibri all’interno dell’offerta e stimolando la ricerca di una maggiore specializzazione. 
Sarà incoraggiata la specializzazione di alcuni porti dedicati esclusivamente al cabotaggio, soprattutto non interrompendo la fase di decollo dei porti più avanzati ed incoraggiando l’ingresso di efficienti imprese terminalistiche. 

Si compone così un quadro di programmazione unitario che, nel caso della portualità abruzzese, dovrà portare per forza alla scelta di un solo nodo portuale al quale forze politiche ed imprenditoriali, nonché tutti gli operatori del settore, dovranno fare riferimento, pena l’esclusione dell’Abruzzo quale regione marittima. 
Le scelte programmatiche illustrate evidenziano come le recenti risorse attribuite al Porto di Pescara per l’ampliamento del porto rientrino nelle logiche di una politica localistica vetusta e di spreco di risorse pubbliche. 
Sotto l’ingannevole dizione di porti passeggeri si sta effettuando un investimento alternativo alla portualità di vocazione che emarginerà il territorio abruzzese dallo sviluppo dell’economia marittima nazionale. 
Talune forze della società civile di Pescara, in buona fede, inseguono il sogno del potenziamento commerciale del porto quale volano per l’economia industriale locale in rapporto alla ricostruzione del Kosovo. 
Si rammenta in proposito che la Comunità Europea ha già scelto di privilegiare le comunicazioni internazionali con le regioni orientali attraverso determinati corridoi europei; in particolare la ricostruzione dell’ex Jugoslavia potrà avvenire infittendo le relazioni tra le coste pugliesi ed il porto di Durazzo in Albania, da cui diparte il Corridoio Pan-europeo n.VIII (Durazzo, Tirana, Skopje, Sofia, Varna). 
Per altro l’accesso a quel paese attraverso il Porto di Durazzo è quello normalmente utilizzato dalle forze della NATO.
Ulteriore accesso potrà avvenire dal porto montenegrino di Bar, anch’esso naturalmente connesso ai porti pugliesi. Il privilegio delle relazioni tra la Puglia e le coste balcaniche rientra per altro nel Piano Industriale 1999 – 2002 del gruppo Tirrenia Navigazione. 
Il documento del Marzo 1999, precisando i principali indirizzi del gruppo negli anni futuri, evidenzia per i collegamenti internazionali la necessità di potenziare l’offerta “sull’Albania, sul Montenegro oltre che sulla Grecia, per adeguarsi ai livelli di traffico assorbibili e per contrastare la concorrenza internazionale”. 
Per il lungo periodo (l’obiettivo è oltre il 2015) l’Unione Europea ha previsto altresì la realizzazione della diramazione del Corridoio Pan-europeo n. V ( Budapest, Sarajevo, Ploce) che porterà al rafforzamento dello scalo croato in collegamento con i paesi dell’Europa orientale. Il porto di Ploce ha già relazioni consolidate con i porti Italiani dell’alto Adriatico e, su tale itinerario, è il nodo privilegiato di ricchi paesi dell’Europa centro-settentrionale.

Il traffico passeggeri in Adriatico.

All’interno dell’industria turistica il viaggio per crociera è stato negli ultimi anni uno dei settori di più rapida crescita. Nel periodo 1980-1995 le crociere, nel panorama mondiale dei traffici marittimi, sono aumentate di circa l’8% ed il confronto con i valori degli anni ‘70 risultano impressionanti: da 500.000 passeggeri trasportati nel 1970 si è passati a 6,5 milioni di passeggeri trasportati nel 1996, ed il tutto è supportato da un aumento macroscopico della dimensione delle navi (oltre il 50% delle navi in corso di realizzazione ha una capacità superiore ai 1.500 passeggeri). Il viaggio per crociera si è affermato in quanto si presenta come alternativa turistica conveniente per l’alto valore dei servizi offerti a fronte di un prezzo non eccessivamente turistico. La crociera offre al viaggiatore il comfort di un albergo di lusso che lo segue nei migliori itinerari di interesse turistico. Il valore del prodotto turistico è estremamente elevato in quanto il viaggiatore è offerto un sistema completo ricreativo di standard nettamente superiore al modello di consumo tradizionale (estrema varietà per ristorazione, animazione, professionale, lezioni sportive, palestra , cinema, teatro, corsi di lingue, ecc. ). 
In tale contesto il mercato mediterraneo, che rappresenta già il 17% del mercato mondiale, andrà sempre più consolidandosi a motivo della durata della bella stagione, per la copiosità di luoghi di interesse storico, artistico e naturalistico e per la disomogeneità dei paesi visitabili, caratterizzati da diverse lingue e culture. 
I porti adriatici nazionali interessati da tale mercato sono Venezia, che copre quote elevatissime di mercato, Bari, le isole Tremiti e Ancona. 
Emerge l’importanza rivestita dai porti greci sui quali si concentra il rilevante mercato ellenico in partenza dal Pireo, il quale sovente usa il porto di Venezia quale home port. 
In sintesi il mercato adriatico è dominato da due compagnie di navigazione: la “COSTA CROCIERE” (che temporaneamente durante gli eventi bellici in Kosovo ha trasferito il porto di partenza di Genova) e la “FESTIVAL CRUISE LINE”, che insieme detengono una quota di circa il 70% in termini di passeggeri trasportati e del 56% in termini di numero di crociere effettuate. Le grandi opportunità di sviluppo del viaggio per crociera hanno spinto le compagnie a caratterizzare le navi con una sempre maggiore portata e ricettività, tendenza destinata ad accentuarsi nel periodo futuro. La soglia dimensionale è determinante oltre che per promuovere una comunicazione efficace soprattutto per mantenere la massa critica necessaria a soddisfare i picchi di domanda e per eseguire un mercato che sempre più spesso è influenzato da politiche di prezzo praticate dai concorrenti. Ad esempio di navi da crociera di ultima generazione possono essere presi i due vettori della “COSTA CROCIERE”: la nave “COSTA CLASSICA”, 53.000 tonnellate di stazza, 220 metri di lunghezza, 31 metri di larghezza e – 7,50 metri di pescaggio, e la “COSTA VITTORIA”, 74.000 tonnellate di stazza, 251 metri di lunghezza, 32 metri di larghezza e – 7,60 metri di pescaggio. 
Tuttavia a fronte del maggior mercato in mano alle grandi compagnie crocieristiche ed effettuato con vettori di grande dimensione, si è sviluppato anche un mercato da parte di compagnie minori spesso costituite da tour operators che si rivolgono all’usato ed a navi di minori dimensioni. 
Il traffico marittimo dei passeggeri oltre che con le navi crociera viene svolto dalla nave traghetto, che a differenza di ciò che avviene per le crociere non costituisce una tipologia di vacanza, ma un semplice mezzo di trasporto usato per spostarsi fra due località e come tale ha un utilizzo promiscuo: oltre che per la vacanza, per il lavoro, per accompagnare il traffico merci, ecc. 
Questo anche se negli ultimi anni i traghetti hanno subito profondi cambiamenti a modificazione delle prestazioni tecniche (maggiore velocità e maggiore capacità) ed in termini di comfort. Le relazioni dei porti adriatici con tale modalità di trasporto sono soprattutto con la Grecia e con la Turchia, ma anche con la Croazia e l’Albania. L’estensione del bacino d’utenza terrestre è spesso assai più vasta di quella nazionale in quanto i collegamenti sono utilizzati anche con funzione di transito per molti utenti provenienti dall’Europa centro-settentrionale e diretti verso i Paesi dell’Europa orientale (Grecia, Turchia e Albania) per la cattiva praticabilità della rete stradale nei paesi dell’ex Jugoslavia. 
I principali porti dell’Adriatico caratterizzati da tale modalità di traffico in modo consolidato sono Trieste, Venezia, Ancona, Bari e Brindisi. Il porto di Pescara che fino al 1990 documentava un movimento passeggeri rilevante con la Croazia, attraverso la motonave Tiziano, ha ormai completamente perso il suo bacino d’utenza. 
Le motivazioni di tale perdita non risiedono solo negli eventi bellici accaduti in quei paesi quanto nell’impossibilità strutturale di affermarsi nelle rotte miste a causa dell’assenza di un modello portuale efficiente in grado di competere con i porti più attrezzati di Ancona e Bari. Infatti il futuro nelle relazioni di cabotaggio vedrà emergere scali terminali ubicati entro bacini sufficienti a garantire un buon utilizzo della capacità di stiva, ridotti tempi di attesa, alta velocità delle operazioni di imbarco e sbarco, facilità di accesso e ambiti portuali attrezzati. 
Ovvero il sistema delle relazioni marittime su navi traghetti è sempre più connesso alle esigenze della merce trasportata e l’offerta del servizio ai passeggeri avviene, seppur accompagnata dai massimi comfort, in subordine a questa esigenza. 
Per altro il settore è stato recentemente caratterizzato da navi velocissime in grado di navigare ad una velocità sopra i 28 nodi e che possono agevolmente prestare servizio con numerose corse per i mezzi pesanti e per le automobili con passeggeri. 
Il porto di Pescara secondo quest’ottica realistica del divenire del traffico passeggeri non può certamente aspirare ad un ruolo di preminenza in quanto, in riferimento al traffico croceristico, non ha vocazioni turistiche di interesse internazionale che possano permettere una deviazione conveniente nei grandi itinerari ed, in riferimento al traffico attuabile dai traghetti, non presenta quella organizzazione tipica di un porto commerciale, necessaria per lo svolgimento efficiente del servizio di linea; tutt’al più può rappresentare un terminale locale per collegamenti di catamarani, aliscafi o navi passeggeri minori per le isole e la costa dalmata.

La salvaguardia e lo sviluppo dell’economia turistica e della pesca.

Riguardo il movimento turistico nella Regione Abruzzo il numero complessivo delle presenze nell’anno 1998 è stato di 4.143.806 unità. Nella Provincia di Pescara il numero complessivo di presenze è stato di 911.525 unità pari al 22% con un trend crescente a partire dal 1994 quando si registravano 752.729 presenze; in cinque anni quindi l’andamento turistico è cresciuto del 21%. L’osservatorio regionale sul turismo ha sottolineato che il risultato positivo del 1998 va ascritto per la maggior parte al settore alberghiero che negli ultimi anni ha avviato un generale ammodernamento delle strutture. E’ da rimarcare comunque che le molte strutture complementari, in particolare affitta-camere e campeggi, risultano ancora gradite, le prime al turismo di provenienza locale e le seconde ai turisti stranieri. 
Per semplificare l’immagine dell’economia turistica del litorale pescarese si evidenziano alcuni dati molto sommari: l’economia turistica copre il 32% circa dell’economia cittadina con oltre 8.800 imprenditori del settore ed una forza lavoro direttamente indotta di circa 5.000 persone. 
Nella fascia litoranea che si estende tra i comuni di Montesilvano e Francavilla a Mare si contano circa 80 strutture alberghiere ed altrettanti esercizi di ristorazione mentre il litorale di Pescara dispone di oltre 120 strutture per la balneazione. La stagionalità turistica per le favorevoli condizioni meteo-climatiche si estende da Aprile ad ottobre. 
In parallelo va migliorandosi la rete commerciale in termini di razionalizzazione ed economicità, riuscendo a corrispondere in forma migliore, anno per anno, anche al carattere prevalentemente residenziale dei flussi turistici. 
Si tratta comunque di un’economia che ancora non esprime tutte le sue potenzialità a motivo dei limiti impressi nel litorale dallo sviluppo urbano durante gli anni del boom edilizio e soprattutto per la particolare conformazione della città metropolitana assai integrata con i principali elementi di richiamo turistico: le spiagge ed il mare. 
Gli enti istituzionali da alcuni anni si prefiggono di portare ad una qualificazione superiore un’economia che ha più di un secolo (nel 1873 a Francavilla sorse la prima stazione balneare destinata ad ospitare una clientela scelta) attraverso l’integrazione tra la spiaggia ed i molti luoghi di eccellenza presenti lungo la costa. Per altro esiste un turismo ancora completamente da valorizzare di fruizione più ampia, incentrato sulle memorie dei territori dannunziani, che può essere costruito a partire dalla casa del poeta, dai suoi scritti, discorsi e racconti, alla ricerca di quelle emergenze del paesaggio prossime al litorale: il fiume, il mare, le colline, la “dolce” linea della montagna della Maiella ed in lontananza il Corno Grande del Gran Sasso d’Italia, prospettiva ben visibile nello sfondo. 

Il Q.R.R. precisa dettagliatamente le modalità di valorizzazione dell’economia turistica litoranea che può trovare nuove risorse dal recupero della qualità ambientale e dal conferimento di una maggiore efficienza al sistema urbano. 
Questo strumento di programmazione ambientale indica una nuova possibile offerta di integrazione lungo il litorale, salvaguardando la continuità delle emergenze ritrovabili da Montesilvano a Francavilla a Mare: le foci dei fiumi Piomba e Saline con il ripristino del sistema dunale, la riserva naturale di Santa Filomena, il mercato del pesce, il Museo Ittico di Pescara, oltre i restanti luoghi della città (casa D’Annunzio, il porto-canale, il porto turistico, i monumenti e le opere di Cascella), la zona della pineta dannunziana e la foce del fiume Alento. 
Contemporaneamente è obiettivo della Regione il potenziamento delle strutture di rango elevato quali centri congressuali ed espositivi, luoghi superiori di cultura, di spettacolo e per il tempo libero. E’evidente che la grande potenzialità del litorale pescarese ed i grandiosi programmi di nobilitazione urbana sarebbero drasticamente recisi con la costruzione del prospettato porto commerciale, con gravi danni alla sostenibilità urbana. La pesca è un’ulteriore risorsa della città di Pescara: una risorsa non solo economica ma anche partecipe dello scenario ambientale, in quanto l’ultimo tratto del fiume Pescara è inimmaginabile senza la vitalità ad esso conferita dalla presenza, talvolta anche caotica, dei molti pescherecci disposti su più file lungo le banchine e dalla numerosa affluenza della gente in passeggio che si ritrova per il semplice acquisto del pesce, ovvero anche per concludere affari. 
Seppur diminuite a motivo della recente Legge Regionale sulla rottamazione, le imbarcazioni dedite all’attività della pesca attraccate ai moli del porto-canale sono circa 120, il 40% delle quali è di tipo medio-grande ed adatto alla pesca in mare aperto.
Gli addetti al settore, registrati in due cooperative ed in due associazioni, producono oltre 16 miliardi di fatturato ed occupano direttamente oltre 400 addetti. Il settore della pesca, a causa soprattutto dell’inquinamento del mare, ma anche per il generale conosciuto sfruttamento intensivo dell’Adriatico, negli ultimi anni ha registrato ricorrenti fenomeni di crisi. Gli addetti del settore governano come possono le perdite arraggiandosi attraverso la vendita diretta del pescato agli alberghi ed ai privati, cosa che ovviamente comporta per la collettività minori garanzie in termini igienici ed ostacola nel contempo la qualificazione del mercato ittico esistente. 
La realizzazione delle nuove opere in avamposto, a motivo delle prevedibile aggravarsi dei fenomeni di inquinamento, ma soprattutto per le pericolose conseguenze sulla praticabilità dello specchio acqueo, arrecherà ulteriori danni al settore impedendo una reale politica di rilancio di questa economia fondamentale per la città. 
Le nuove opere di difesa che convergeranno verso la diga foranea, la cui costruzione da molti pescatori è stata vista positivamente (anche se ora è forte la preoccupazione per il progressivo interramento del porto) in quanto permette, in condizioni di mare avverso, l’ingresso in acque calme e soprattutto permanenti condizioni di calma all’interno del porto-canale, provocheranno per altro un netto restringimento dell’imboccatura del porto, che con l’accentuarsi dei fenomeni di insabbiamento, non avrà una larghezza idonea da permettere il libero passaggio delle imbarcazioni contemporaneamente alle navi commerciali. 
Conseguenti ordinanze di limitazione per la sicurezza della navigazione potranno portare ulteriori vincoli all’esercizio della pesca.

Gli indirizzi per un nuovo assetto del porto di Pescara.

La redazione di un piano regolatore di un porto risulta un esercizio complesso in quanto lo strumento deve anticipare di molti anni la futura funzionalità dell’infrastruttura e contemporaneamente essere adeguato alla prossima realtà in divenire; ovvero “la redazione progettuale di un piano regolatore è valida quando si realizza un equilibrio intelligente tra la scienza del futuro e la concretezza” (Ugo Tomasicchio – Manuale di ingegneria portuale e costiera – op. cit.). 
Per questa ragione il disegno del piano dovrà derivare da numerose indagini di tipo scientifico, ma senza dubbio l’aspetto prevalente riguarderà la caratterizzazione funzionale del porto in relazione alle sue vocazioni in termini di risposta alle molteplici esigenze del territorio, considerando innanzi tutto il rapporto dell’infrastruttura con la città, le sue funzioni e la società civile che vi vive. 
Il Piano Regolatore del Porto, come per altro definito dall’art. 5 della Legge 84/94, dovrà tendere a superare la logica meramente ingegneristica di un insieme di opere marittime spesso avulse dagli obiettivi di pianificazione e programmazione territoriale affidati agli enti pubblici elettivi. Tale premessa dovrebbe valere quale appello affinché si proceda verso un nuovo Piano Regolatore del Porto di Pescara a netto superamento di un disegno che abbiamo ampiamente dimostrato assai carente nella sua funzionalità e nei suoi usi oltre che di estremo impatto per la città. 
Proviamo già a rappresentare uno scenario alternativo per il Porto di Pescara a netto superamento di un disegno che abbiamo dimostrato assai carente nella sua funzionalità e nei suoi usi oltre che di estremo impatto per la città. 
Si è ben consapevoli che i suggerimenti che verranno dati di seguito potranno risultare “oltraggiosi” nei riguardi delle presunte potenzialità portuali di Pescara, in realtà essi sono indirizzati proprio alla valorizzazione ed al potenziamento delle autentiche vocazioni marittime della città abruzzese. 
Ci teniamo sempre a dire comunque che le opere devono essere oggetto di assai approfondite indagini preliminari in riferimento alle componenti geofisiche del territorio. Gli usi da valorizzare sono attinenti allo sviluppo del turismo e della pesca oltre a quelli commerciali e ricreativi in riferimento alla qualificazione ambientale dei luoghi centrali urbani. 
In primo luogo un nuovo assetto del porto non può certamente prescindere da una drastica correzione dell’assetto idraulico che si è venuto a creare nel porto, ripristinando la canalizzazione del fiume in senso normale, o almeno prossimo, al litorale per limitare i fenomeni di interrimento. Ciò significa che la diga foranea a mare dovrebbe essere dotata di idonei varchi sommersi, le caratteristiche dei quali dovranno essere studiate in maniera approfondita nella tipologia costruttiva e nell’ubicazione, alternativamente la diga dovrebbe essere accorciata nel versante Ovest per una lunghezza tale da permettere la canalizzazione della corrente. Un lieve prolungamento del molo Sud garantirebbe comunque la tranquillità delle acque in avamporto. Il nuovo assetto del porto è tutto in sostituzione delle opere di secondo stralcio previste dal Genio Civile OO. MM. 
Anziché produrre un dimensionamento basato su navi di caratteristiche commerciali, crediamo che il progetto debba essere costruito puntando su navi esclusivamente passeggeri di piccolo tonnellaggio che possono operare nel servizio turistico costiero. 
Tali navi, attorno alle 3.000 tonnellate di stazza, hanno una lunghezza di circa 100 metri, una larghezza di circa 15 metri ed un pescaggio attorno ai 5 metri adatto ai fondali del porto a prescindere da grandi interventi di dragaggio. 
Servizi di tipo turistico litoraneo effettuato da navi minori sono già presenti in Adriatico; si richiama in particolare il servizio della motonave “MARCONI” tra Grado, Trieste, Rovino e Pola. Una tipologia di vettore interessante è rappresentata dalla nave passeggeri “CEZANNE” in servizio tra il Rodano ed il Mediterraneo sulla linea Avignone, Arles, Montecarlo, Portofino, Viareggio e Roma. Essa di proprietà della Società Trasporti e Crociere di La Spezia è stata soprannominata “nave del Giubileo” e, pur nelle sue limitate dimensioni (122,5 metri in lunghezza per 11,20 metri di larghezza), emerge per le sue lussuose dotazioni (66 camere, 4 suites e 5 royales suites) parificate ad un hotel a 5 stelle. Per la manovra di tali vettori sarebbe sufficiente collocare un bacino di evoluzione all’interno del porto-canale ricavato mediante allargamento dell’ambito portuale all’area del mercato ortofrutticolo. 
Nello schema allegato è disegnata anche una nuova darsena a servizio della flotta pescherecci, mentre a terra potrebbe essere di grande interesse la collocazione delle strutture per una “fiera del mare”: oltre ai padiglioni potrebbe essere previsto un palazzo congressi ed un centro studi specializzato sulla “cultura del mare”. Per il versante Nord è sembrata suggestiva l’ipotesi di rifacimento integrale del molo mediante il suo spostamento a monte per permettere, oltre ad un passo navigabile più ampio, l’accosto dei vettori precedentemente menzionati. 
L’allargamento del molo potrebbe consentire la continuità della passeggiata costiera sul Lungomare Matteotti e l’insediamento di strutture diverse per la valorizzazione del turismo. 
Va segnalato che attraverso una maggiore sezione del molo, per altro, si otterrebbero maggiori spazi per il dimensionamento delle camere di smorzamento del moto ondoso creando un efficace meccanismo di dissipazione dell’energia in grado di abbattere notevolmente la risacca all’interno del porto. E’ parso di grande effetto ipotizzare l’allestimento del molo Nord quale partecipe della qualificazione urbana in analogia a quanto compiuto a Barcellona ed in molte città americane e giapponesi, dove il principale requisito di progetto è stata la completa fruibilità dell’opera da parte dei cittadini e dei turisti. 
Il disegno del nuovo molo si estende in mare a partire da un grande parcheggio alberato (P), seguono: 
- complesso con funzioni di stazione marittima e di presidio per la sicurezza (M); 
- camminamenti (L);
- luoghi di ritrovo; 
- belvedere attrezzato con opere di arredo urbano; 
- ristoranti con terrazzi sul mare (R). 
L’opera si conclude con una piazza-teatro (H) rivolta verso il mare e con un piccolo imbarcadero (G) per il servizio estivo di trasporto dei bagnanti alla diga foranea, la quale, in occasione della bella stagione, potrebbe essere attrezzata anch’essa con strutture mobili leggere per la balneazione. 
Il nuovo assetto che si propone, anche se a prima vista potrà sembrare ai “cultori” della materia di tipo fantasioso e con scarse probabilità di realizzo, potrà essere di stimolo per la ricerca di nuove soluzioni che alimentino, anziché estinguere, i valori urbani.




Bozza di progetto dell’ arch. Alberto POLACCO per la riqualificazione delle aree
portuali
A - bacino di evoluzione L - passeggiata
B - tratto di diga da definire M - stazione marittima
C - varchi sommersi N - piazza della darsena
D - prolungamento del molo sud O - darsena nuova per navi e aliscafi
E - allargamento del canale P - parcheggi
F - accosti per navi passeggeri Q - fiera del mare
G - imbarcadero R - ristoranti e trabocchi
H - piazza teatro S - centro della cultura del mare
T - palazzo dei congressi